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Un aspetto della spirale bellica, o escalation, che va sempre tenuto a mente, è che essa può avvenire a prescindere dalla volontà dei partecipanti, come semplice risultato della loro interazione. Una grande guerra può scoppiare inavvertitamente, perché la concatenazione di minacce, risposte, rappresaglie ecc. conduce i contendenti laddove non pensavano di giungere.
Il caso della Prima Guerra Mondiale
Un caso da manuale fu la Prima Guerra Mondiale. La crisi di luglio 1914, che fece seguito all’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, era solo l’ennesima d’una lunga sequenza che si era verificata negli anni della Belle Epoque, senza mai portare a una conflagrazione bellica. Anche nel luglio 1914 il proposito non era certo quello di scatenare una grande guerra europea. Gli Austro-Ungarici desideravano regolare i conti con la Serbia, ma temevano che i Russi le corressero in aiuto. Per tale ragione – intimorire lo Zar – chiesero l’appoggio della Germania; e l’ottennero anche perché a Berlino si riteneva che Mosca non fosse pronta alla guerra (era stata sonoramente sconfitta dai Giapponesi un decennio prima e stava completando un programma di riarmo finanziato dai Francesi) e che lo Zar non avrebbe mai appoggiato, nemmeno indirettamente, dei regicidi. Tanto più che Mosca non aveva alcuna formale alleanza con Belgrado. L’analisi tedesca era che, anche se si fossero sbagliati, la Russia si sarebbe comunque trovata sola, perché l’ondata di simpatia suscitata dall’attentato di Sarajevo avrebbe concorso a tenere la Francia e la Gran Bretagna fuori dal conflitto.
Non erravano del tutto: Londra e Parigi non presagivano una guerra né tanto meno l’auspicavano. Infatti consigliarono alla Serbia di rispondere in maniera positiva all’ultimatum asburgico. A sparigliare le carte ci pensò Mosca, che cominciò a mobilitare incoraggiando Belgrado a rifiutare almeno alcuni punti dell’ultimatum. L’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia.
Va qui notato che la Russia intendeva compiere una mobilitazione parziale, proprio perché era disposta al massimo a una guerra limitata con Vienna. A Mosca si accorsero però che la mobilitazione parziale avrebbe poi reso difficile procedere, se necessario, a una totale. Perciò proclamarono direttamente la mobilitazione generale e ciò fu decisivo per precipitare l’Europa in guerra. A Berlino, infatti, si contava ancora su un conflitto limitato: una rapida occupazione di Belgrado da parte delle truppe asburgiche e l’avvio di un negoziato internazionale da posizione di forza. Ma la mobilitazione generale in Russia esponeva la Germania al rischio di un’invasione, tanto più che – come noto – Mosca era alleata di Parigi e i piani di guerra tedeschi prevedevano di sconfiggere rapidamente la Francia (come già fatto nel 1870), sfruttando la proverbiale lentezza della mobilitazione russa, per poi concentrarsi sul più impegnativo fronte orientale. Fu tale considerazione a spingere Berlino alla guerra preventiva, dichiarata contro Francia e Russia. A quel punto Londra ritenne di non potervi rimanere estranea e, sfruttando la violazione della neutralità belga, entrò nel conflitto. Tutti gli attori in gioco contavano comunque su un conflitto rapido. Come andò a finire è ben noto a tutti.
Dove siamo con l’escalation odierna
Torniamo all’oggi. Per comprendere dove ci troviamo con l’escalation in corso, possiamo fare riferimento al celebre modello di Friedrich Glasl.
Il primo livello, quello win-win, è stato ampiamente superato: siamo andati oltre a tensioni, dibattito e azioni che si sostituiscono alle parole. Il secondo livello è quello win-lose, in cui ci si aspetta di ottenere qualcosa a discapito dell’avversario. Si formano le coalizioni (la NATO si schiera con l’Ucraina, la Bielorussia con la Russia), si delegittima l’avversario (il governo ucraino è “nazista”, Putin è un “dittatore pazzo e sanguinario”), si passa alle minacce (allerta per le forze nucleari russe o per quelle di risposta rapida della NATO). Il terzo livello è quello lose-lose: si è disposti a subire perdite a patto che quelle dell’avversario siano maggiori. La prima fase di questo livello è quella della “distruzione limitata”: si usa ogni strumento per danneggiare il nemico più di quanto si sia danneggiati in prima persona. È dove ci troviamo oggi, con l’invasione russa dell’Ucraina, la strenua resistenza di quest’ultima, le sanzioni europee e del blocco a guida USA anche a costo di auto-imporci dei “sacrifici” (Draghi dixit).
Oltre questo livello, esistono solo altre due fasi. La prima è quella dell’annichilimento totale: l’avversario dev’essere distrutto con ogni mezzo. Potremmo individuare il realizzarsi di questa fase in una guerra aperta tra la Russia e la NATO con tutti i mezzi convenzionali. Il secondo e ultimo stadio è quello che vede le parti disposte all’auto-distruzione pur di distruggere l’avversario. Corrisponderebbe allo scenario di una guerra nucleare.
Bisogna notare, come prima sottolineato, che il passaggio da un livello all’altro può dipendere dalla volontà di uno solo dei due contendenti o persino avvenire contro la volontà di entrambi. Un incidente che coinvolga un Paese della NATO potrebbe trascinare quest’ultima nella guerra e, da lì, aprire le porte anche a un confronto nucleare. Per quanto l’esistenza di questo scenario finale e della mutua distruzione assicurata funga da forte deterrenza a un’escalation portata all’estremo, sarebbe bene non escluderne a priori la possibilità. E andiamo ora a spiegare il perché.
Le mosse euro-atlantiche
Esaminiamo cosa abbiano fatto finora i Paesi della NATO.
- Stanno fornendo armi all’Ucraina affinché siano impiegate contro i Russi. Non è paragonabile a un intervento armato ma implica comunque un ruolo che non è più meramente diplomatico ma travalica in ambito militare. Considerando i problemi legati al trasporto delle armi in loco e all’addestramento (necessario per utilizzarle) dei soldati ucraini, il confine con la belligeranza è sottilissimo: secondo l’esperto Gianandrea Gaiani, si può considerare già superato.
- Stanno fornendo, tra gli altri armamenti, anche aviogetti. Ciò ha suscitato una certa discussione e qualche marcia indietro rispetto alle prime dichiarazioni, sia da parte europea sia da parte ucraina, che davano adito al sospetto che a pilotarli potessero essere europei – o che si appoggiassero a basi aeree in Polonia per le loro operazioni. Ciò sarebbe equivalso a un ingresso nel conflitto delle nazioni terze coinvolte.
- Stanno collaborando con l’Ucraina per favorire il reclutamento di volontari stranieri che andranno a combattere contro i Russi. Malgrado questa forma di arruolamento sia illegale in vari Paesi, le autorità stanno chiudendo un occhio oppure varando misure ad hoc per consentirla (come in Estonia). La ministra degli Esteri britannica ha approvato i suoi connazionali che stanno arruolandosi contro Mosca. Gli Ucraini raccomandano ai volontari di portare con sé più materiale possibile; si è fatta menzione anche di precedenti uniformi di servizio del Paese d’origine, cosa che esporrebbe però a grossi rischi di incidenti internazionali (cosa penserebbero i russi di un italiano catturato in Ucraina mentre combatte con uniforme italiana?).
- Stanno imponendo durissime sanzioni economiche alla Russia, tese apertamente a ridurla in ginocchio. Prima di fare marcia indietro, il Ministro degli Esteri francese ha usato l’espressione “guerra economica totale”. Siamo oltre alle sanzioni come deterrente. Esse sono uno strumento di guerra non militare: non servono a scoraggiare o inibire le azioni avversarie, ormai già avvenute (e non più inibite perché già si sta esercitando il massimo della pressione possibile), ma a ridurre l’avversario all’impotenza.
- Stanno conducendo pesanti attacchi informatici contro la Russia. È arduo non credere che dietro “Anonymous” si celi, almeno in questo caso, la capacità cyber-bellica della NATO. Parliamo dunque di una forma di guerra ibrida, del resto già utilizzata in passato contro l’Iran e cui anche i Russi hanno fatto ricorso, seppur in maniera meno intensa.
- Il Presidente ucraino Zelensky ha chiesto alla NATO di imporre una no-fly-zone sull’Ucraina. Essa implicherebbe necessariamente degli scontri diretti tra NATO e Russia, rendendo una scalata verso la guerra totale in Europa molto probabile. Per tale ragione è stata esclusa da tutti i governi euro-atlantici che si sono espressi sulla questione, ma non va ignorato che alcuni parlamentari, sia in Gran Bretagna sia negli USA, abbiano accolto con favore la proposta di Zelensky.
- Le cancellerie euro-atlantiche parlano apertamente del Presidente Putin e dei suoi stretti collaboratori come di folli, sanguinari e criminali di guerra. Il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio, facendo sfoggio delle proprie capacità diplomatiche, ha dichiarato in diretta Tv, ridendo, che Putin è “più atroce di qualsiasi animale”. Sono ben noti meccanismi di deumanizzazione e reductio ad Hitlerum degli avversari, probabilmente nella speranza di stimolare a Mosca un golpe che deponga Putin. Non bisogna però dimenticare che la storia recente ci mostra più esempi di dittatori, isolati, sanzionati e demonizzati, che malgrado tutti gli auspici e intrighi di USA o Europa sono rimasti in sella per anni o decenni: da Assad a Saddam Hussein, da Maduro ai Castro. Questo tipo di strategia comunicativa rischia solo di arroccare e rinsaldare la cricca al potere, ormai consapevole che, se sconfitta, finirebbe come Gheddafi o Saddam Hussein. E tale prospettiva di eliminazione finale può spingere anche Putin e i suoi a decisioni estreme, sentendosi braccati e con le spalle al muro, senza via di uscita.
- A confermare quanto mal disposti non solo verso Putin, ma verso ogni russo, siano i Paesi della NATO, concorrono evidenti eccessi persecutori, che si configurano come vera e propria russofobia. Solo per rimanere all’Italia, abbiamo visto: il Governo avviare l’iter per revocare le onorificenze concesse a russi negli ultimi anni; un maestro d’orchestra impedito a esibirsi se non avesse prima abiurato il proprio Paese; una importante università pubblica annullare un corso dedicato a Dostoevskij perché scrittore russo. Nulla che concorra a distendere gli animi o che lasci presagire possibilità di soluzioni pacifiche e negoziate.
Il rischio di escalation
Confidiamo che il rischio di escalation rimanga basso, poiché né i Russi né alcun Paese della NATO sembrerebbe interessato ad un allargamento del conflitto. Al momento, e per comprensibili ragioni, solo l’Ucraina sta lavorando ad un allargamento. Tuttavia, la disponibilità di Kiev a condurre negoziati con la Russia, paralleli alle operazioni sul terreno, induce a credere che nemmeno il Presidente Zelensky punti ad una resistenza a oltranza, che condannerebbe il Paese a subire fortissimi danni e lutti.
Tuttavia, per quanto detto in apertura, non bisognerebbe trascurare i rischi di una scalata involontaria, che può dipendere sia da incidenti sul terreno, sia da percezioni dei decisori politici rispetto alle intenzioni avversarie. Ad esempio, Putin ha sorpreso gli altri Paesi invadendo l’Ucraina: molti si aspettavano che il suo calcolo avrebbe incluso la rottura dei rapporti con l’Europa e le sanzioni, dissuadendolo dalla guerra. Plausibilmente Putin non ha eluso questo calcolo, ma ha ritenuto la neutralizzazione dell’Ucraina un imperativo categorico e soppesato i “contro” in maniera diacronica: attaccare l’Ucraina comporterà dei danni, ma ci sarà in futuro un’epoca in cui tali danni saranno inferiori? Considerando la debolezza mostrata da Biden in Afghanistan, lo stato critico dell’economia europea tra chiusure pandemiche, inflazione, costi energetici, avrà concluso che questo fosse il momento non ideale, ma “meno inopportuno”. Anche per questo è pericoloso dare l’idea che si voglia rinchiuderlo in un angolo e perseguire la sua deposizione e il debellamento della Federazione Russa.
In merito al rischio di escalation nucleare, bisogna considerare le strategie della NATO e della Russia.
Dopo la Guerra di Corea, la NATO pianificò di reagire a un’invasione sovietica anche col massiccio ricorso alle armi nucleari. Era il concetto della “massive retaliation”, che escludeva la possibilità di un conflitto limitato con l’URSS. Negli anni ’60, dopo che Mosca ebbe sviluppato un altrettanto temibile arsenale atomico, si cominciò a prevedere una “risposta flessibile”: convenzionale ad attacco convenzionale, nucleare tattico ad attacco nucleare tattico, nucleare strategico ad attacco nucleare strategico. Il quarto concetto strategico della NATO (1968) contemplava comunque l’escalation deliberata: la minaccia sempre più credibile di ricorso all’arma atomica per fermare l’aggressione. Si tratta dell’ultima formulazione fatta durante la Guerra Fredda, dunque nel corso di un confronto aperto con un rivale nucleare. Quest’anno uscirà un nuovo concetto strategico dell’alleanza, che terrà conto dell’ormai chiaro antagonismo di Russia e Cina verso la NATO.
Passiamo alla dottrina militare russa . Essa ha, negli ultimi decenni, abbassato la soglia di potenziale utilizzo dell’arma atomica, prevedendolo anche in risposta di un attacco convenzionale ma su ampia scala e critico. Si tratta della dottrina dello “scalare per descalare”: in caso di un soverchiante attacco convenzionale (evidentemente si pensa alla NATO come esecutore), Mosca risponderebbe con un uso limitato dell’arma atomica per spingere l’avversario a più miti consigli. Non a caso i Russi hanno investito molto nello sviluppo di armi nucleari tattiche, ossia a basso rendimento (di energia espressa), ed oggi hanno un vantaggio di 10:1 sugli USA, che si raddoppia considerando che solo metà degli ordigni americani sono schierati in Europa. Questo tipo di armi è descritto come un possibile veicolo di escalation nucleare, poiché – essendo centinaia di volte meno potenti delle testate nucleari strategiche – potrebbero essere usate più a “cuor leggero”. Ma sempre senza sapere dove la spirale si fermerà.
In conclusione, la raccomandazione ai decisori politici e ai cittadini è di non dare per scontato che la guerra non si allargherà solo perché, Ucraina a parte, nessuno lo vuole. Di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno…
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
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