di Andreas Unterberger

Dove ci sono più democrazia e stato di diritto? A Budapest o a Bruxelles e dintorni? “Che domanda!” – è il modo in cui sia i media mainstream sia la maggioranza dei parlamentari europei risponderebbe. Dopo tutto, il primo ministro ungherese Viktor Orbán è stato per anni demonizzato da loro come una specie di dittatore.

I fatti, naturalmente, dicono il contrario. Tuttavia, in alcuni luoghi l’odio verso l’Ungheria arriva al punto che il capo del governo olandese ha addirittura raccomandato pubblicamente al piccolo Paese dell’Europa Centrale di lasciare l’UE. Proprio i Paesi Bassi, tra tutti i Paesi! Quello che dietro le alte dighe cela un centro europeo del traffico di droga e un ramo particolarmente pericoloso del crimine organizzato. Non si dovrebbe forse raccomandare ai Paesi Bassi di andarsene? Sono i Paesi Bassi, non l’Ungheria, dove solo pochi giorni fa un giornalista è stato ucciso per strada perché la sua inchiesta si è avvicinata troppo a una banda di criminali. Sono i Paesi Bassi dove un politico di destra fu assassinato. Dove è stato ucciso un regista critico dell’Islam. Sempre con motivazioni ideologiche. Omicidi politicamente criminali (in ogni caso con coinvolgimento socialista) sono avvenuti anche a Malta e in Slovacchi. Niente di lontanamente paragonabile è avvenuto in Ungheria.

Anche i politici spagnoli sono ansiosi di attaccare l’Ungheria. Eppure, solo poche settimane fa, nel loro Paese ci sono stati prigionieri politici condannati ad anni di carcere per un comportamento che non è un crimine in nessun altro luogo: come politici regionali hanno organizzato un referendum che non era voluto dal governo centrale. Sono colpevoli di “eccesso di democrazia”.

I politici austriaci, dal canto loro, dovrebbero riflettere sul fatto che il loro Paese, a differenza dell’Ungheria, è ancora uno Stato costituzionale. L’attività decisamente ideologica della magistratura, per esempio, mette sempre più in dubbio ciò dalle parti di Vienna. Idem per l’aumento massiccio della criminalità straniera, che ha chiaramente diminuito il diritto alla sicurezza dei cittadini di questo Paese, a partire da quella delle ragazzine di 13 anni.

Mentre gli agitatori dell’Europa Occidentale se la prendono continuamente con l’Ungheria e le negano il riconoscimento democratico, a Budapest ci sono almeno rudimenti di democrazia diretta maggiori che in Austria: il governo magiaro chiede regolarmente il parere della popolazione in “dialoghi politici” che assomigliano a un referendum. Certo, è ancora molto lontano da una vera democrazia diretta in cui i cittadini stessi possano richiedere un referendum su qualsiasi legge presentando un numero sufficiente di firme, come in Svizzera. Ma in ogni caso, il modello di dialogo ungherese va molto più in là di tutti i modelli di democrazia dell’Europa Occidentale, dove una élite dirigente politico-mediatica-burocratica non vuole cedere un millimetro di potere, ma al contrario ottenerne sempre di più.

Si può solo scuotere la testa di fronte all’indignazione di diversi politici e media dell’Europa Occidentale per una nuova legge ungherese che vieta l’esposizione pubblica dell’omosessualità. Sostengono che è una “vergogna” e una violazione dei “valori europei”. Diventa sempre più disgustoso cosa tirino fuori dal cassetto spacciandolo per “valori europei”. Dopo tutto, le rappresentazioni omosessuali erano vietate anche nella maggior parte degli altri Paesi quando veniva fondata l’UE. E non c’è mai stata una sanzione formale che abbia elevato tali rappresentazioni a “valore europeo”. Inoltre, al di là della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, che è stata adottata prima della fondazione della CEE/CE/UE e non è mai stata modificata in tal senso, non c’è nulla che possa essere descritto come una lista di questi infausti “valori”. Piuttosto, la parola “valori” è diventata un vocabolo completamente indefinito, nella propaganda politica, usato arbitrariamente per screditare e diffamare gli avversari politici.

Per molti europei, invece – purtroppo sempre meno per i politici e i media – quello che Orbán sta facendo da anni è un impegno verso quello che essi stessi intendono come valori europei: innumerevoli leggi di cui è responsabile promuovono le famiglie, cioè le coppie con più figli (con un effetto dimostrabile sui tassi di natalità ungheresi). Altre leggi ungheresi hanno dato al Paese le aliquote fiscali più basse d’Europa. L’Ungheria è l’unico Paese dell’UE che aiuta specificamente i cristiani perseguitati in altri continenti.

Certo, è stata una mossa un po’ sciatta e subdola quella di Orbán di inserire i paragrafi che vietano le rappresentazioni omosessuali in una legge che combatte la pedofilia, visto che molti eterosessuali direttamente o indirettamente abusano dei bambini. Tuttavia, è un fatto che il 70% degli ungheresi ritenga giusta tale legge. La sproporzionata reazione delle autorità dell’UE si rivelerà un grande aiuto elettorale per Orbán. Costui sa che un politico di successo, in una democrazia, ha sempre bisogno di un avversario con cui lottare, qualcuno le cui azioni lo rendano adatto al ruolo di nemico. Per molto tempo  George Soros ha rappresentato il nemico, sponsorizzando associazioni pro-migrazione e anti-Orbán. Ora la presidente della Commissione Europea si è candidata a rimpiazzarlo nel ruolo.

Deliziosa è l’ulteriore accusa secondo cui il governo ungherese sarebbe un “nemico della libertà di stampa”. Perché il fatto è che ci sono molti media in Ungheria che criticano Orbán, sia elettronici sia cartacei. I loro commenti critici sono anche regolarmente citati nei giornali occidentali – gli stessi giornali che il giorno dopo pubblicano l’affermazione dell’associazione di sinistra radicale “Reporter senza frontiere” secondo cui la libertà di stampa starebbe scomparendo in Ungheria. Certamente i giornali dell’opposizione ricevono meno pubblicità da imprese commerciali che sostengono Orbán. Ma è davvero un’ipocrisia disgustosa quando questa accusa viene fatta anche dall’Austria, dove le cose sono molto peggio sotto quest’aspetto.

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Torniamo in Ungheria. L’accusa contro Viktor Orbán di essere un nemico della libertà di stampa è diventata particolarmente bizzarra negli ultimi giorni. Il Primo Ministro ungherese ha riassunto in sette punti le sue proposte di riforma dell’UE, che ha voluto comunicare tramite annuncio a diversi giornali europei. Tuttavia, non meno di 20 giornali europei hanno semplicemente rifiutato la pubblicazione! Assolutamente oltraggioso. Non solo perché il rifiuto di una pubblicità a pagamento è una grottesca contraddizione col fatto che quasi tutti questi giornali siano economicamente in difficoltà e chiedano costantemente più soldi pubblici allo Stato. Ma anche perché contraddice l’essenza di qualsiasi informazione corretta, se non si permette a qualcuno che si attacca quasi ogni giorno di presentare il proprio punto di vista, almeno una volta, senza impedimenti.

Il messaggio non riguardava l’omosessualità, che è così ferocemente sostenuta dal mainstream di Sinistra-liberale. Si trattava della riforma dell’UE. Naturalmente era giusto che altri giornali europei, come la “Presse” in Austria, accettassero l’annuncio. Naturalmente la direzione di questo giornale un tempo borghese è stata messa sotto pressione dai commissari politici editoriali, tanto che il giorno dopo ha messo una sezione di tre pagine cariche di odio anti-ungherese all’inizio del giornale. Ma è mendace e malato che dall’ORF (radiotelevisione austriaca) sia stato rifiutato l’annuncio perché “a spese del contribuente ungherese”. Quanto è infame questa accusa! Come se tutti i governi europei – e l’UE stessa ancora di più! – non spendessero costantemente un sacco di soldi per l’autopromozione.

In termini di contenuto, l’annuncio dell’Ungheria era un appello per favorire ulteriori successi economici comuni e per ammettere la Serbia nell’UE. Nel contempo esprimeva un chiaro rifiuto dell’immigrazione di massa, dello sviluppo dell’UE verso un super-Stato continentale e dell’idea che sia necessaria un’unione “sempre più stretta”. Orbán vuole concedere ai parlamenti dei singoli Stati più poteri e, di converso, esautorare in parte il parlamento dell’UE. Anche se l’uno o l’altro dettaglio è questionabile, non ci possono essere dubbi: molti europei concorderanno con le intenzioni di Orbán.

Si noti come l’annuncio chieda solo l’ammissione della Serbia e non anche quella degli altri “Stati dei Balcani occidentali”, ossia Albania, Kosovo, Bosnia, Macedonia e Montenegro, come avevano chiesto finora Ungheria e Austria. Forse è un riferimento implicito al fatto che questi altri Paesi (tranne il Montenegro) hanno una grande popolazione di musulmani che diventerebbero cittadini dell’UE al momento dell’adesione. Una volta che ciò diventerà conoscenza comune, senza dubbio ridurrà ulteriormente l’entusiasmo – comunque non grande – degli attuali cittadini dell’UE per l’allargamento.

La critica più aggressiva a Orbán proviene chiaramente dagli euro-parlamentari. I Verdi, per esempio, blaterano di “sentimento antidemocratico” e invocano ancora una volta i minacciosi “valori fondamentali” che l’ungherese violerebbe. Scopriamo così un altro valore europeo: l’accumulo di potere al Parlamento europeo. Il fatto che siano proprio questi deputati a ululare di più conferma l’accusa di Orbán: l’Euro-Parlamento rappresenta solo i propri “interessi istituzionali”. Sta infatti cercando di accaparrarsi sempre più prerogative, sottratte agli Stati membri, alle regioni e anche ai cittadini. Ciò è totalmente contrario alla “sussidiarietà” che viene sempre invocata nei discorsi della domenica. Ma a quale istituzione piace essere accusata di ossessione per il potere e veder proposta la propria esautorazione?

L’unica accusa che Orbán deve accettare è di essere illiberale. Dopo tutto, lui stesso usa questo termine più e più volte per descrivere le sue politiche. Ingenerando però un’enorme confusione. L’Ungheria, con il suo minimo livello di regolamentazione, le basse aliquote d’imposta sul reddito e un’aliquota d’imposta sulle società del 9 per cento, è un Paese da sogno assoluto per ogni vero liberale in Europa. I più grandi pensatori liberali del XX secolo, da Hayek a Friedman, accenderebbero ogni giorno una candela per l’Ungheria se potessero ancora farlo. Allora perché, vivaddio, Orbán chiama le sue politiche “illiberali”, il che dà loro una connotazione negativa Semplicemente perché conosce e usa la parola “liberal” nel senso americano del termine, dove è sinonimo di “socialista” e dunque proprio il contrario dell’accezione europea di “liberale”. Perché nessuno insegna al capo del governo ungherese ad evitare questa parola, che causa tanta confusione nel resto d’Europa?

(Fonte: “Andreas Unterberger’s Diary” via European Media Cooperation)

Giornalista austriaco, è stato direttore dei quotidiani "Die Presse" e "Wiener Zeitung".