di Nicola De Felice

Dopo l’articolo sull’Esercito, continua il contributo di pensiero per come strutturare le Forze Armate in attesa di uno Stato sovrano.

L’Italia, prima nazione in Europa per quantità di merci importate via mare, dispone dell’11a flotta mercantile del mondo e della 3a flotta peschereccia europea. La nostra Nazione importa via mare l’80% delle materie prime necessarie al suo fabbisogno. La cantieristica marittima nazionale genera circa il 3% del PIL e l’industria correlata identifica uno dei settori più redditizi sul quale investire – sia al Nord che al Sud – con un moltiplicatore d’occupazione di 1 a 6. Essa è tuttavia impiegata per meno del 50% delle sue potenzialità, con il rischio di disperdere irreversibilmente un patrimonio di competenze pregiate.

Le forze marittime militari sono uno strumento della politica estera impiegato per il conseguimento di definiti obiettivi di interesse nazionale: in particolare sono una parte essenziale per la prevenzione di un conflitto armato nella gestione di una crisi. La dissuasione costituisce il principale strumento di gestione politica della sicurezza ai fini della stabilità internazionale ed un’efficace strategia di deterrenza non può prescindere, oltre che dall’impiego coordinato di tutti gli strumenti del potere nazionale (attività diplomatica, strategia di comunicazione, provvedimenti economici e commerciali, ecc.), dalla disponibilità di una flotta che sia credibile e prontamente impiegabile, che solo a schierarla in mare scaturisca un effetto dissuadente, cioè impedisca un’azione indesiderata da parte dell’avversario.

Le forze marittime devono muovere rapidamente dai porti e schierarsi in teatro operativo a distanze elevate dall’Italia, per lunghi periodi di tempo. La capacità di autosostentamento deve permettere alle forze in mare di svolgere le attività senza doversi rifornire in porto. Tale peculiarità, intesa come capacità di fornire sostegno sia di fuoco che logistico alle forze dispiegate a terra influendone la condotta delle attività, è intrinsecamente connessa alla versatilità strategica richiesta alla Marina. Per tutelare questi interessi nel Mediterraneo allargato – cioè dall’Oceano Indiano all’Atlantico – la Marina Militare deve disporre di almeno 100 navi articolate su 4 divisioni comprensive di tutte le specializzazioni (cioè bilanciate nella natura di ogni singola unità secondo capacità di combattimento o supporto al combattimento), 25 sommergibili dei quali 5 con capacità di lancio missili, e di un’efficiente aviazione navale imbarcata per operare in superficie, in cielo e nelle profondità marine. Occorre disporre di efficaci forze da sbarco e di forze speciali, di reparti subacquei unici per tutte le Forze Armate.

Le forze marittime si spostano in prossimità di un’aerea di crisi senza violare le norme del diritto internazionale, non condizionate alla necessità di sostegno logistico. Esse devono essere impiegate in un ruolo di diplomazia navale, mostrando la bandiera italiana a supporto degli interessi della Nazione, in ruolo di deterrenza e dissuasione secondo un appropriato e selettivo uso della forza, in mare o sulla terra. La Marina deve operare in aiuto alla popolazione per interventi umanitari, nella ricerca e soccorso, per l’esfiltrazione di cittadini dai territori ostili e per il supporto alle autorità civili in caso di calamità naturali. Dopo il recente raddoppio del Canale di Suez e l’incremento degli scambi commerciali con l’estremo Oriente, è fondamentale assolvere il compito di protezione del naviglio mercantile di bandiera e amico con la sorveglianza delle linee strategiche di transito marittime, di rispetto della legalità in alto mare, di interdizione del traffico illegale ovvero di lotta al traffico degli esseri umani, ai pirati, di embargo e di blocco navale utilizzando la flotta in azioni coercitive per interdire la circolazione di alcuni tipi di generi designati all’interno o all’esterno di una nazione o di un’area specifica.

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Valido per la Marina quanto già proposto per l’Esercito in termini di sistema morale, culturale, di apprendimento, di personale, di equipaggiamento, di prontezza e di sostenibilità. L’architettura del “sistema Marina” con i suoi sottosistemi di comando e controllo, organizzativo-logistico e operativo, devono permettere alla flotta una performance collettiva tale da essere il frutto della coesione e della fiducia instauratesi tra le diverse unità e formazioni navali, preventivamente e singolarmente addestrate per operare in squadra con successo. Tale architettura può essere disegnata solo attraverso la comprensione e l’applicazione della dottrina e delle procedure comuni, la continua pratica addestrativa e lo svolgimento di esercitazioni nazionali ed internazionali che mirino a privilegiare le prestazioni collettive e la capacità di integrazione delle forze.

Valido per tutte le Forze Armate, la condotta delle operazioni deve fare riferimento a dei principi assoluti, l’applicazione dei quali costituisce condizione irrinunciabile ai fini del conseguimento del successo militare. Unicità di comando con discendente assunzione di responsabilità, definizione chiara degli obiettivi, adozione di misure per tenere alto il morale condizionante il rendimento e la volontà del singolo combattente nonché la coesione, la disciplina e l’efficienza degli equipaggi, assunzione di una mentalità offensiva con lo scopo di acquisire, mantenere e sfruttare l’iniziativa e la libertà di azione, concentrazione rapida delle forze per ottenere una superiore potenza di combattimento nel momento e nei luoghi decisivi, combinazione a proprio vantaggio delle forze e della gestione del fuoco, impiego e distribuzione ponderata delle forze nelle aree diverse da quelle dove si intende ottenere il massimo effetto d’azione offensiva, applicazione di una serie di misure finalizzate alla protezione delle unità ed al contenimento degli effetti delle azioni dell’avversario, capacità di cogliere il nemico impreparato ed infine semplicità nell’affrontare ogni situazione.

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Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli. Ammiraglio di divisione (ris.), già comandante di cacciatorpediniere e fregate, ha svolto importanti incarichi diplomatici, finanziari, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori della Difesa e della Marina Militare, sia in Patria sia all’estero, in mare e a terra, perseguendo l'applicazione di capacità tese a rendere efficace la politica di difesa e di sicurezza italiana.