Al di là dell’immane catastrofe umana e sociale, l’epidemia da Covid-19 ha rappresentato l’occasione per far emergere una serie di contraddizioni e falsi miti. Se si è già trattato, anche da queste colonne, delle ambiguità e dei limiti evidenti delle istituzioni europee, va inoltre sottolineato che l’avvicendarsi dei provvedimenti di contenimento dell’epidemia ha incrinato il mito della “Costituzione più bella del mondo”, che d’un tratto si è scoperta lacunosa e vulnerabile. Difatti, la necessità di affrontare in tempi rapidissimi una situazione critica ha spostato il baricentro della tutela dei diritti civili dal Parlamento al Governo, che è intervenuto dapprima con un decreto-legge, con cui è stato delineato il quadro delle misure da adottare, e in seguito con svariati decreti ministeriali, che hanno dato consistenza alle misure di contenimento.

Al netto delle critiche politiche sui ritardi e sulle incertezze di cui si è macchiato l’esecutivo nella gestione dell’emergenza, va detto che, allo stato attuale dell’ordinamento giuridico, probabilmente non si sarebbe potuto fare diversamente, tenuto conto del repentino precipitare degli eventi. Ne è dipesa però una serie di criticità legate alla compressione dei diritti fondamentali mediante fonti di grado secondario e, in un primo momento, alla repressione delle trasgressioni mediante sanzioni penali introdotte da norme “in bianco” (in seguito sostituite da sanzioni amministrative).

In proposito, ripercorrere il dibattito dottrinale sulla legittimità, o meno, degli strumenti adottati si rivelerebbe in ogni caso insoddisfacente per un approccio pragmatico alla realtà. Del resto, anche i giuristi si dividono tra critici e possibilisti, in considerazione della diversa prospettiva da cui si interpreta la “riserva di legge” (in senso “assoluto” o “relativo”) mediante la quale è possibile stabilire limiti ai diritti di libertà personale (art. 13 Cost.), di libera circolazione sul territorio (art. 16), di riunione (art. 17), di professione di fede religiosa (art. 17), di lavoro (art. 4 e 35), di libera iniziativa economica (art. 41), nel bilanciamento con un altro interesse preminente quale quello alla salute, individuale e collettiva (art. 32).

Soltanto in corso d’opera, con l’entrata in vigore del D.L. n. 19/2020, si è pervenuti ad un testo riepilogativo ordinato, senza però valutare con precisione i conflitti con i diversi livelli di governo già insorti (si veda la querelle tra Regione Lombardia e Governo) o che potrebbero insorgere, mettendo così in discussione anche il riparto delle attribuzioni definito dall’art. 117 Cost.

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La situazione in corso suggerisce dunque, una volta superata l’emergenza, l’opportunità di una revisione costituzionale (sul modello tedesco) o, comunque, di un intervento legislativo che disciplini attentamente le fonti, i poteri e relativi limiti, nonché il coordinamento del principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.), per la gestione di casi del genere. Per esempio, si potrebbe istituire una riserva parlamentare per la dichiarazione dello stato di emergenza, differenziato per natura della causa, con diversa modulazione dei poteri conferiti all’esecutivo e della sospensione delle libertà civili, preventivamente approvate dal consesso rappresentativo (anziché controllate ex post, come oggi avviene con la conversione dei decreti-legge, quando la compressione dei diritti si è già realizzata).

Questo completamento del Codice della protezione civile (D.Lgs. n. 1/2018) si rende necessario non solo per affrontare le più varie ipotesi di emergenza in cui il nostro Paese si trova spesso coinvolto, ma anche per dare una compiuta copertura a interessi e diritti non ancora espressamente costituzionalmente tutelati, come quello alla riservatezza dei dati personali, tema quanto mai attuale mentre assistiamo a droni che pattugliano le strade e si fanno largo apps installate sui cellulari per tracciare gli spostamenti e gli incontri dei contagiati. Perché la situazione d’emergenza resti tale e non apra la strada a potenziali abusi, come quelli perpetrati a seguito del Patriot Act all’indomani dell’11 settembre 2001.


Stefano Beccardi, avvocato, ha un Master in Consulenza politica e marketing elettorale (Eidos).

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