Il portale “Quillette” ha riportato un interessante articolo del docente australiano Daniel Silver sul tema dei nuovi approcci educativi progressisti all’interno delle scuole del suo Paese. Lo scritto commenta alcune statistiche del PISA chiamate a valutare la preparazione degli studenti quindicenni dei Paesi OCSE. I risultati, sconfortanti, conseguiti dall’Australia hanno indotto nell’autore riflessioni su tematiche già qui approfondite, ossia l’innesto profondo della pedagogia postmoderna, o semplicemente progressista, all’interno delle istituzioni scolastiche occidentali.

L’autore cita alcuni risultati ottenuti durante la sua attività di insegnamento, tramite l’utilizzo di approcci creativi e anti-nozionistici (in particolare l’uso della musica), confrontando i risultati registrati in una scuola di un quartiere agiato di Sidney con quelli di una di Alice Springs, località al centro del deserto australiano frequentata da molti ragazzi poveri, aborigini o di recente immigrazione. Nella scuola di Sidney, frequentata da figli di genitori realizzati e dotati di una vita professionale ben retribuita e appagante, i risultati dei metodi creativi sono stati buoni, con eccellenti riscontri anche tra genitori e altri insegnanti, ma ad Alice Springs sono stati deludenti, non intaccando né la bassa autostima degli alunni né il tasso di dispersione.

Per ovvie ragioni, l’approccio progressista e creativo, per sua natura anti-nozionistico, non aggiunge nulla ai parametri del PISA (che sono nozioni), ma sottrae tempo ad essi, agendo su sfere diverse come la creatività e lo spirito critico. Come era possibile quindi che i metodi di educazione creativa funzionassero in alcune zone (quelle ricche e già istruite) e non funzionassero in quelle disagiate? La risposta sta negli ambienti di provenienza. Chi infatti si trova a crescere in un milieu già di per sé impregnato di cultura, esposto quindi a stimoli quali letture, mostre, viaggi, ha un considerevole vantaggio nozionistico su chi cresce in ambienti modesti o in contesti familiari frammentati. Ne conseguono implicazioni devastanti all’interno dell’assetto sociale delle nazioni, poichè non solo la mobilità sociale si inceppa ancora di più, ma essa comincia a lavorare in senso opposto a quello auspicato.

Grazie all’informatizzazione ed all’abbattimento dei costi di spostamento anche in aree lontane del mondo, i giovani benestanti hanno più possibilità di cementare ed incrementare la loro posizione sociale, mentre i bambini di classi meno abbienti si vedono privare di quelle tanto vituperate nozioni (grammatica, aritmetica, scienze) prioritarie per il loro approdo verso un’istruzione superiore in grado di riscattarli. L’educazione progressista fornisce strumenti che non possono essere apprezzati da chi non ha basi solide. Non si può improvvisare e creare se non si hanno basi accademiche, come aveva compreso Salvador Dalì, che pure era maestro del surrealismo, affermando: “Se vi rifiutate di studiare l’anatomia, l’arte del disegno e della prospettiva, la matematica dell’estetica e la scienza del colore, lasciatevi dire che questo è un segno più di poltroneria che di genio”.

Emerge, dal pur variegato mondo progressista dell’educazione, una grande disillusione nichilista verso l’ignoranza. Una colossale resa di fronte alla pretesa, un tempo cara ai vetero-marxismi, di un’istruzione di alto livello impartita a tutti, quasi forzosamente. Viene più semplice accettare che tutto rimanga com’è, dietro la giustificazione che un intelletto creativo comunque potrà in ogni caso riscattare socialmente una mancanza di nozioni. Dietro questo approccio in realtà si fonda una visione di carattere eminentemente razzista e classista, come notato da Roger Kimball in Tenured Radicals: nella mente di chi, nel mondo scolastico ed accademico occidentale, espunge nozioni e immette “creatività”, sussiste un razzismo che considera “i testi prodotti dai maschi bianchi occidentali prima del 1900” qualcosa di inaccessibile a “donne, neri e ispanici, dimostrando ben poco rispetto per l’intelligenza di questi gruppi o le loro capacità di identificazione immaginativa”.

La critica di Kimball può a ben vedere includere anche la categoria dei generici poveri di Alice Springs. Per Christopher Lasch, che non esclude la validità delle teorie di Kimball, si tratta di un’esplicita manovra della Neoclasse privilegiata che scientemente decide di limitare la concorrenza in grado di minacciarne i privilegi, in un vero e proprio avvitamento feudale da parte di ambienti sedicenti liberali e radicali. La convergenza delle tesi di Kimball con quelle di Lasch spiegherebbe il fatto, già notato dalla Mastrocola, che le famiglie delle alte classi dirigenti preferiscano iscrivere i figli a scuole private vecchio modello (non di rado religiose, collegi svizzeri etc.), dove il nozionismo vige ancora incontrastato, relegando gli approcci creativi al tempo libero, e lasciando la scuola pubblica, pervasa dall’ingegneria sociale postmoderna e “creativa”, proprio ai membri delle classi sociali svantaggiate.

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Robert Reich aveva definito questa neoclasse come “analisti simbolici”, persone che vivono in mondi fatti di concetti astratti (quotazioni di borsa, filosofia, arte etc.), contrapponendoli virtualmente ai routine production workers. In un mondo volto all’efficientismo spietato, incapace di giustificare privilegi improduttivi un tempo appannaggio di epoche premoderne, l’istruzione creativa postmoderna ha cementato in maniera eccellente gli assetti di classe sussistenti, raccontando ai routine workers che gli analisti simbolici esistono in funzione della loro emancipazione. Torna qui in auge una vecchia critica di Marx a Proudhon espressa nel Manifesto: chi sogna una società dove i poveri non diventino qualcosa di nuovo rispetto alla vecchia borghesia ma si comportino come essa, sogna un mondo di soli borghesi, un mondo senza il popolo. L’essenza della concezione di una comunità che scimmiotta l’individualismo creativo borghese è l’odio per la comunità stessa.


Marco Malaguti è animatore di Progetto Prometeo.

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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.