Il confronto tra il leader delle Sardine Mattia Santori e il direttore de “Il Giornale”, Alessandro Sallusti, è risultato tanto impietoso nei suoi esiti quanto illuminante sulla vera natura del movimento. L’incapacità di dare un’opinione che esuli dall’opposizione al nemico leghista, l’espressione interdetta di Santori appena prima di prodigarsi in un’allegoria dal significato criptico, non sono da imputarsi alla scarsa preparazione del frontman, ma alla stregua di indicatori riguardo l’identità profonda delle Sardine.

Fin dalle prime apparizioni, le Sardine sono state definite dai loro promotori come degli “anticorpi” contro la deriva sovranista e populista. È in questo senso che il movimento è rimasto coerente con l’affermazione iniziale. Una prospettiva antipolitica che è possibile ravvisare ai primordi di diversi progetti politici, non ultimo il Movimento Cinque Stelle, nato sull’onda delle critiche all’establishment, per poi elaborare solo in seguito un programma politico. Eppure la nascita delle Sardine rimane peculiare. Il nemico che ispira l’antipolitica delle Sardine, infatti, non è la forza attualmente al potere, anzi, l’ispirazione ideologica dei componenti del movimento si configura come perfettamente organica alle forze al governo del Paese.

Il motivo del successo di una tale mobilitazione, almeno al di fuori del contesto estemporaneo delle regionali emiliane, va ricercato altrove, in una sfera che esula il panorama strettamente partitico. I movimenti che portano avanti linee antipolitiche sono virus, non anticorpi, tendono a farsi forti dell’impostazione antipolitica per poi svilupparsi politicamente come una minaccia nei confronti dell’establishment. L’anticorpo è un prodotto del sistema immunitario, il cui scopo è quello di assicurare la sopravvivenza dell’organismo. Al di fuori della condizione di minaccia, non vi è bisogno di produrre anticorpi tanto aggressivi. Perché, dunque, nonostante lo scranno parlamentare sia stato conquistato, l’area progressista avverte questo tipo di condizione?

La paura del voto politico è certamente una risposta adeguata. Tuttavia, non è la paura di un voto che possa semplicemente intaccare la condizione di governo. Sarebbe difficile ipotizzare una simile mobilitazione di fronte alla paura di un exploit di un centrodestra liberale, a trazione Berlusconi ad esempio. La paura che dà vita alla Sardine è la paura di un voto irrazionale, come appunto quello per i partiti sovranisti. Il sovranismo, difendendo dei presupposti che superano la logica della ragione progressista, quali l’identità religiosa, culturale e nazionale, non costituisce solo un pericolo per la posizione di primazia politica, ma bensì costituisce un pericolo per l’immaginario progressista. Se il sovranismo esiste e vince, significa che il progresso non è stato in grado di superare i presupposti irrazionali dell’identità. Non si tratta di una battaglia per il governo del Paese, ma della tragica morte di un mito, di una narrazione.

LEGGI ANCHE
Perché la Critical Race Theory è pericolosa (e Trump la vuole messa al bando)

La deriva sovranista che le Sardine hanno tentato di arginare minaccia direttamente la narrativa egemone e almeno questo Santori sembra averlo capito. Non a caso, in diverse interviste, sia ai leader sia ai manifestanti, questi parlano di “linguaggio” e “semantica”. Non è per la chiusura dei porti che Matteo Salvini fa tremare le Sardine, ma per la sua potenzialità di stabilire un nuovo linguaggio politico, in cui i motivi irrazionali tornino a pesare di più dei costrutti razionali, in cui l’emozione e lo spirito del popolo soppiantino il sogno dell’umanità globale ed accogliente. Tale crisi è evidentemente avvertita, in maniera inconscia, in una fascia ampia della popolazione progressista, quella che ha riempito le piazze dopo gli appelli, consci, di Santori. Qualora la battaglia delle narrative vedesse una sconfitta sul fronte del progresso, i suoi alfieri non sarebbero cancellati dall’agone politico, ma andrebbero incontro a un destino peggiore: perdere la possibilità della squalifica morale dell’avversario, in quando questa avverrebbe in base a categorie che nessuno riconosce più come valide.

Il fatto che la Sinistra abbia preso coscienza, sebbene ancora in via embrionale, della battaglia che si appresta a combattere, impone una nuova riflessione sul fronte sovranista. Nelle Sardine, opportunamente proiettate dalla macchina mediatica, il progressismo ha trovato la possibilità di un’iniezione revitalizzante all’interno di un immaginario ormai logoro, che tuttavia, in assenza di nemici, potrebbe portare a termine la propria convalescenza e inaugurare una nuova fase positiva. Occorre adesso aggiungere agli sforzi per la vittoria politica, quelli per prevalere nel grande scontro delle immagini, analizzando e destrutturando i miti e i sogni della sinistra post-sessantottina. Contemporaneamente è necessario iniziare a disporre di una propria narrativa, in cui non trovi posto la vergogna del non sottostare ai paradigmi di una supposta logicità creata ad uso e consumo della Sinistra.

+ post

Studia la comunicazione politica, la narrazione, la capacità di creare miti e simboli per comprendere fino a che punto questo velo sia in grado di mascherare la realtà dei fatti. Proviene dal mondo del giornalismo, incubatore assieme all'università dei grandi miti post-moderni.