All’indomani delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, il racconto mediatico è incentrato sulla presunta sconfitta del salvinismo. Appare una scelta quanto meno incauta, considerando che si partiva con due regioni governate dal Centro-Sinistra e si finisce con una che rimane a sinistra e l’altra che passa al Centro-Destra. Normalmente, la si definirebbe una vittoria dell’opposizione che guadagna una regione.

A turbare il racconto pubblico e indirizzarlo verso una linea controintuitiva sono alcuni fattori. Il primo è la maggiore importanza dell’Emilia Romagna e il fatto che Matteo Salvini avesse posto grande enfasi su queste elezioni, anche come presunta “spallata al Governo” (molto improbabile, in realtà, poiché PD e M5S non abbandoneranno il potere finché i sondaggi li danno sconfitti alle elezioni generali). Il secondo è la preponderanza della sinistra tra i giornalisti (fatto che trova ormai conferma anche negli studi) e quindi la capacità di imporre la narrativa a loro più favorevole. Il terzo è la traballante situazione delle forze di maggioranza, PD e M5S, certificata dalle varie elezioni europee e locali e dai sondaggi, tale da far gridare al trionfo per la riconferma in una roccaforte storica della Sinistra.

Eppure, i risultati raccontano un’altra storia. Dal 2014 a oggi, la Sinistra ha conquistato una sola regione (la Campania), ma ne ha perse 11 a vantaggio della Destra (Piemonte, Liguria, Provincia di Trento, Friuli, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). In Calabria, il Centro-Sinistra che veniva da una vittoria trionfale cinque anni fa (61% a 24%) ha perso rovinosamente, con oltre 15 punti percentuali di distacco. In Emilia Romagna Bonaccini si riconferma con 8 punti di vantaggio, più di quanti si pensasse nell’immediata vigilia, ma molti meno dei 20 con cui vinse nel 2014. Il fatto stesso che in Emilia Romagna, da sempre roccaforte rossa, sia servita una massiccia mobilitazione (affluenza in fortissima crescita nelle zone a maggior trazione PD) per respingere la candidatura della Borgonzoni (che ha tuttavia vinto nelle circoscrizioni di Piacenza, Parma, Ferrara e Rimini, ossia 4 su 9 della regione), la dice lunga sull’indebolimento della Sinistra nel Paese.

La vittoria del PD in Emilia Romagna, tutt’al più, può rivelare che questo palese inabissamento ha un fondo oltre il quale non può andare. Questo fondo è garantito da una base socio-culturale di appoggio alla Sinistra, che unisce borghesia urbana, immigrati, anziani veterani del PCI-PDS-DS-PD, cattolici “bergogliani”, cultori dei valori progressisti in genere. Si tratta di una base che identifica i propri interessi materiali e/o valori etici con la proposta del PD e degli altri partiti di sinistra; essa è minoritaria nel Paese ma comunque cospicua e, probabilmente, non erodibile dall’ascesa salviniana nei consensi. Era wishful thinking a destra quello degli arguti commenti, secondo cui la linea gauche caviar tutta immigrati, Greta ed LGBT avrebbe portato il PD all’annichilimento. Al contrario, proprio quella linea, fortemente identitaria ed ideologica, è oggi necessaria al PD per conservare e mobilitare il proprio zoccolo duro – con cui forse non vincerà le elezioni (Emilia Romagna e poche altre regioni a parte), ma grazie al quale potrà resistere in attesa che cambi il vento politico.

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Guardando a destra, malgrado la parziale battuta d’arresto emiliano-romagnola si conferma il momento favorevole, di consenso maggioritario nel Paese. I professionisti sapranno trarre lezioni pratiche dalle campagne elettoriali appena concluse. A livello generale, la persistenza del nerbo di Sinistra e la riconfermata volatilità dei voti (il rovescio in Calabria, così come quello recente in Umbria, ne dà sensazionale dimostrazione) impone di rammentarsi che in politica vincere l’elezione non è un traguardo, ma solo il primo passo. Il traguardo è il buon governo, non ultimo per conservare il consenso ed evitarsi le parabole discendenti toccate ad altri.

A tale proposito, il pensiero va ovviamente al M5S. Detto che nelle elezioni locali le sue prestazioni sono sempre in tono minore, il dato di ieri è che a fronte di un lieve avanzamento in Calabria (+2,3% rispetto al 2014), in Emilia Romagna è crollato. E il confronto coi voti ottenuti alle ultime politiche diviene sempre più imbarazzante, considerando che una forza di governo da quasi due anni dovrebbe essere ormai in grado d’apparire competitiva anche a livello locale. Aggiungendo al quadro le dimissioni di Di Maio da capo politico e le molteplici defezioni ed espulsioni dal gruppo parlamentare, l’immagine è quella di un partito allo sbando. A dispetto del progetto dimaiano di fare del M5S la terza forza centrista, destinata a rimanere sempre al governo alleandosi di volta in volta o con la Sinistra o con la Destra, ormai la strada tracciata appare quella del rientro nell’alveo della Sinistra come partito satellite del PD. E il M5S deve sentirsi insicuro anche delle possibilità di trovare questa nuova collocazione, poiché le Sardine – imbaldanzite dal successo emiliano – potrebbero insidiarle il ruolo. Del resto il mix di insipienza e fanatismo proprio delle Sardine ne fa una sorta di copia del primo M5S, e così potrebbero insidiarne persino il mesto ruolo di accalappiatore di voti critici a sinistra per riportarli all’ovile piddino.


Daniele Scalea è Presidente del Centro Studi Machiavelli.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" e "Geopolitica del Medio Oriente" all'Università Cusano. Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi. Il suo ultimo libro (come curatore) è L'attualità del sovranismo. Tra pandemia e guerra.