Mocro maffia, locuzione che definisce le organizzazioni criminali di etnia marocchina che agiscono nei Paesi Bassi ed in Belgio; si tratta di seconde e terze generazioni di immigrati provenienti anche dai Paesi Bassi caraibici che si fondono in un milieu criminale che gestisce gran parte della logistica, i grandi porti commerciali, e dello smercio di droghe di vario genere in quella porzione di Nord Europa.

Le recenti cronache hanno posto in risalto, in particolare, due figure di rilievo di questo ambiente criminale, Ridouan Taghi ed il suo braccio destro Said Razzouki, quali responsabili di traffico internazionale di sostanze stupefacenti e numerosi omicidi in Patria. La storia personale dei due è tipica rispetto ad un mancato processo di integrazione a favore di una scelta di vita criminale decisamente più a portata di mano in un contesto di sterile assistenzialismo.

Ancora più emblematica è la storia del criminale più noto alle cronache olandesi, Gwenette Martha originario di Curacao, giovane promessa del calcio olandese tramutatosi in capo di una gang e quindi in criminale di rango. Con il tempo, e dopo la classica escalation criminale fatta di furti, rapine e spaccio locale, nel 2013 il clan di Gwenette Martha è pronto a scontrarsi con il rivale clan Benaouf rendendo Amsterdam teatro di una guerra criminale a suon di omicidi e rappresaglie ancora in corso.

Non interessa in questo contesto fare la storia della criminalità olandese quanto piuttosto mettere in risalto uno degli aspetti caratterizzanti la genesi, l’evoluzione e la resilienza delle organizzazioni criminali, comunque esse siano connotate. Nel mondo contemporaneo, liquido e globalizzato, le grandi organizzazioni criminali di successo sono quelle che possono contare, come ogni impresa multinazionale, su di una rete di filiali globali.

È il caso della ‘ndrangheta, che non per un caso fortuito ha preso il posto nel panorama mondiale criminale di Cosa nostra siciliana ed americana, della criminalità cinese, di quella albanese, di quella dell’ex blocco sovietico ed infine come si discuterà questo giovedì, di quella nigeriana. Tutte queste grandi realtà criminali fondano il loro attuale successo e potere sulla diffusione internazionale di cellule locali, nate da flussi migratori verso Paesi ospitanti, che non si sono trasformati in opportunità di sviluppo diffuso e che, purtroppo, hanno finito per dar vita ad enclave caratterizzate da alti tassi di criminalità. Ci soccorrere a chiarire questa dinamica l’esperienza maturata negli U.S.A. ad inizio del Ventesimo secolo, allorché la necessità di manodopera a sostegno dell’enorme sviluppo economico aveva fatto affluire milioni di immigrati che hanno generato singole realtà criminali a base etnica.

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Il caso dell’Olanda, a noi contemporaneo, suscita, comunque, il medesimo ed annoso interrogativo: quali sono le migliori politiche di gestione dell’immigrazione senza che questa si trasformi in un elemento di sviluppo di fenomeni di criminalità organizzata? A noi non sta il compito di rispondere a questo interrogativo, ma non ci sottraiamo a quello più proprio di evidenziare l’effetto nefasto che fenomeni d’immigrazione non gestiti o gestiti malamente generano.


Antonio De Bonis è ex analista dell’Arma dei Carabinieri.