L’ESM (European Stability Mechanism), in italiano MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), è recentemente assurto agli onori della cronaca in relazione alla proposta di modifica che ha suscitato reazioni di segno opposto.

L’ESM è stato costituito nell’ottobre 2012 quale successore dell’EFSF (European Financial Stability Facility), il così detto “Fondo salva Stati”, posto in essere successivamente all’esplodere della crisi greca. L’idea di base è quella di disporre di uno strumento che consenta di sostenere gli Stati membri in caso di crisi finanziaria così come accaduto per Cipro, l’Irlanda, la Spagna ed il Portogallo; a tale fine il fondo dispone di mezzi per circa € 700 miliardi.

Il nuovo meccanismo proposto per l’ESM vede la formalizzazione delle modalità e delle condizioni di intervento a favore di uno Stato previa analisi della sostenibilità della sua situazione finanziaria. L’intervento dell’ESM è subordinato, come esplicitamente affermato, a “strette condizionalità”; in altri termini all’impegno dello Stato beneficiario di ricondurre le proprie finanze ad una situazione di equilibrio.

Nel testo non si afferma l’automatismo della ristrutturazione del debito ma il quadro tracciato vede tale soluzione come pressoché obbligata. A riprova di ciò il fatto che si prevede l’introduzione nei titoli di Stato di una evoluzione delle clausole CACs; tali clausole, inserite nei titoli governativi europei dal 2013, consentono la variazione delle condizioni dei titoli stessi (ad esempio allungando la scadenza, riducendone l’importo ecc.). La modifica all’ESM prevede infatti, per tutti i titoli governativi con durata superiore ad un anno emessi dal 2022, una clausola “single-limb” che consentirà le variazioni di cui sopra con una sola votazione, in modo da semplificare il meccanismo di ristrutturazione del debito.

In Italia le polemiche circa la modifica dell’ESM si sono concentrate su questo ultimo aspetto, la possibilità di ristrutturazione del debito con i conseguenti danni a carico dei risparmiatori italiani, ma vi sono altri aspetti, forse meno immediati, che vanno attentamente valutati.

In primo luogo l’intervento dell’ESM è subordinato a strette condizionalità, per citare letteralmente l’espressione utilizzata, che si concretizzeranno in pesanti impegni circa la spesa pubblica, quindi in riforme che incideranno notevolmente sulle prestazioni pubbliche a favore dei cittadini (per qualche esempio vedasi la Grecia). Va rilevato che il board dell’ESM è costituito dai ministeri delle finanze dei Paesi partecipanti, quindi le condizionalità andranno concordate con soggetti assai meno disposti ad un accordo politico rispetto alla Commissione Europea.

In secondo luogo le modifiche stesse rendono una ristrutturazione del debito più probabile disincentivando l’acquisto dei nostri titoli di Stato soprattutto da parte delle banche.

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In realtà però l’aspetto di maggiore rischio per l’Italia va ravvisato nella mera introduzione di modifiche all’ESM così concepite. Ancorché astrattamente applicabile a qualsiasi Stato, tali modifiche sono palesemente pensate per l’Italia, fornendo così ai mercati un netto e controproducente segnale di sfiducia dell’Europa sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. In altri termini la strutturazione di un articolato meccanismo, peraltro successivo ad altri interventi già effettuati dall’ESM, verrà con ogni probabilità percepito dai mercati finanziari come la conferma che l’Europa vede come concreto il rischio di default del nostro Paese, con la conseguente possibilità che un qualsiasi evento negativo inneschi una spirale in grado di condurre al default stesso.

Il Governatore della Banca d’Italia, Visco, in un discorso del 15 novembre (“The Economic and Monetary Union: Time to Break the Deadlock”), abbandonando i toni felpati ed il linguaggio criptico dei banchieri centrali, ha affermato che il meccanismo di risoluzione consente di ridurre i costi di un default ma i limitati vantaggi di tale soluzione vanno bilanciati con il rischio di creare una profezia autoavverante potenzialmente in grado condurre il Paese al default. Il Governatore quantifica quest’ultimo rischio come enorme (”huge”) e ricorda il triste esito delle dichiarazioni di Deauville del 2010 circa il coinvolgimento del settore privato nella ristrutturazione del debito greco.

Ad avviso di chi scrive, quindi, le modifiche proposte all’ESM possono avere un senso solo se inquadrate in un contesto di chiaro avanzamento del mercato unico dei capitali che attribuisca alle modifiche stesse un significato diverso dalla mera predisposizione di uno strumento di gestione del nostro default. In caso contrario, ci vuole coraggio per iniziare un dialogo ma ce ne vuole ancora di più per interromperlo.


Luca Ruggeri è un dirigente nel settore finanziario.

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Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.