Peggio delle tasse c’è solo la presa in giro sulle tasse. Presa in giro che si manifesta in due modi: per un verso, concentrando il dibattito su aspetti di dettaglio, sui singoli “alberi”, per meglio impedire a chi osserva di concentrarsi adeguatamente sull’insieme, sulla “foresta”; e per altro verso, spostando gli inasprimenti fiscali dai bersagli più visibili e impopolari a target meno appariscenti, ma non meno destinati a procurare sofferenza al tessuto economico del paese. 

Qualunque cosa ci raccontino in questi giorni, e via via nelle prossime settimane (sarà un festival di “novità” ogni giorno: tra vertici di maggioranza, emendamenti in Commissione, maxi emendamenti governativi, da qui a Natale), non bisogna perdere il focus, il cuore del problema: il ministro Roberto Gualtieri si è già sciaguratamente impegnato con i suoi interlocutori europei, i soliti Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis, a un aumento delle entrate corrispondente allo 0,7% del Pil: circa 12 miliardi. 

Una parte di quest’operazione avverrà attraverso il cosiddetto recupero dell’evasione; un’altra parte attraverso nuove tasse vere e proprie. Il risultato concreto è che altra ricchezza sarà sottratta a individui, famiglie e imprese, per essere consegnata alla spending machine pubblica. 

Vedrete che le operazioni mediatiche per “truccare” la realtà proseguiranno. Ci saranno venduti come un successo il mancato aumento della cedolare secca, e il mancato peggioramento della condizione delle partite Iva sotto i 65 mila euro. Insomma, l’aver evitato (forse) uno-due danni che la stessa maggioranza aveva inizialmente progettato ci sarà raccontato come un trionfo. Per meglio occultare tutto il resto: la stretta sulle detrazioni, la complicazione delle compensazioni (per scoraggiarle o per costringere il contribuente a fare lui stesso da “banca” a favore della mano pubblica), la rinuncia a estendere il regime del 15% alle partite Iva e alle piccole imprese fino a 100mila euro.

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Senza dimenticare il vero punto di fondo: nella manovra non c’è nulla che spinga in modo robusto in direzione pro crescita. I liberali classici, come chi scrive, sostengono che la crescita venga incoraggiata con robusti tagli di tasse; con altrettanta dignità, chi ha un’impostazione più keynesiana confida invece in un ruolo propulsivo degli investimenti. Ecco: questa manovra non vedrà in campo né gli strumenti del primo tipo né quelli del secondo. E invece si conformerà una volta di più al pilota automatico Ue. 

Inutile dire che le opposizioni (Lega, Fdi, Fi) hanno, in termini di consenso, un’autostrada. Sarà sufficiente descrivere la manovra per determinare altro – meritatissimo – discredito a carico della maggioranza giallorossa. Ma onestà intellettuale impone di ricordare che, mutatis mutandis, anche i vecchi governi di centrodestra hanno fallito l’obiettivo di un significativo abbassamento della pressione fiscale, pur non avendo mai commesso gli errori della sinistra ammazza-contribuenti.

Ecco, se ora Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi vogliono dare un segnale diverso dal passato, non si limitino a criticare l’impresentabile budget giallorosso. Ma presentino una contromanovra: illustrino agli elettori cosa avrebbero fatto loro, e – anzi – cosa farebbero se fossero presto nuovamente chiamati a responsabilità di guida del paese.


Daniele Capezzone è commentatore de “La Verità”