Da svariati decenni l’integrazione europea è presentata dalla classe dirigente all’elettorato italiano come una panacea di tutti i vizi e mali dell’Italia, da inflazione a cattive abitudini di spesa pubblica. Ora, nonostante l’evidente declino dell’Italia, anche l’immigrazione è diventato ambito per il quale servirebbe una ”risposta europea”. Si potrebbe sottolineare che tale ragionamento implica una ammissione di incapacità di chi la propone nella gestione del sistema Paese, ma preferiamo concentrarci sui meriti della proposta.

Uno dei primi ”grandi colpi” del governo Conte-Bis è stato l’accordo di Malta, che presenta, almeno nella bozza, le caratteristiche tipiche dell’approccio ”globalista”: un ”tecnico”, il Ministro Lamorgese, che tramite un accordo sovranazionale vincolante redistribuisce i migranti prelevati da missioni umanitarie nel Mediterraneo al resto d’Europa, per dimostrare agli elettori italiani che esistono soluzioni alternative ai ”porti chiusi” di Salvini.

Dopo il giubilo dei media, la bozza ha finalmente raggiunto il Consiglio dei Ministri dell’Interno dell’Unione Europea. I risultati?

  • 3 paesi certamente disponibili (Portogallo, Irlanda, Lussemburgo); il numero sale ad un massimo di 10 a seconda delle condizioni;
  • accordo valido solo per i migranti raccolti dalle missioni nel Mediterraneo, non gli sbarchi autonomi; da notare che, sotto il governo precedente, si è passati da un 90% di sbarchi umanitari e 10% di sbarchi autonomi ad un esatto opposto;
  • ancora più importante, il meccanismo di ricollocamento contiene una clausola numerica: vale solo finché i numeri sono quelli ottenuti dall’ex Ministro Salvini, cioè poche centinaia. Se diventano migliaia, Seehofer (Germania) e Castaner (Francia) hanno già annunciato l’intenzione di sfilarsi.
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Considerando che gli sbarchi sono raddoppiati nel mese di Settembre 2019 rispetto all’anno precedente, è prevedibile quest’ultimo scenario. L’accordo è praticamente inutile. Perché questo fallimento?

La verità, che dovrebbe essere punto di partenza di ogni dibattito, è che questi migranti, l’80% dei quali non ha diritto di entrare in Europa, non li vuole nessuno; non solo i cattivissimi del gruppo Visegrad. Il 70% degli italiani, secondo Pew Research, vuole una riduzione drastica dell’immigrazione se non addirittura la chiusura delle frontiere. Lo stesso gruppo, seppure con percentuali più basse, risulta maggioritario non solo in tutta Europa, ma in quasi tutti i Paesi del mondo.

Proprio per questo chi vuole più immigrazione propone risposte europee. La formula è semplice, la depoliticizzazione: un trattato che istituisce un organismo sovranazionale di ”esperti” che poi ”gestisce l’immigrazione”: visti facilitati, corsi di lingua, percorso accelerato alla cittadinanza magari conditi di corsi di istruzione per i nativi riguardanti i benefici dell’immigrazione. E se a questi ultimi i numeri degli arrivi non andassero bene? Si rispolverano alcune recenti affermazioni, con cui si è risposto quando soluzioni sovranazionali in ambito monetario e di bilancio si sono rivelate controproducenti per i paesi firmatari: ”Non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei’‘ (Juncker), ‘‘Le elezioni non cambiano gli accordi” (Schäuble).

Per farla breve, come suggerito dall’ex PdC Enrico Letta, bisogna sottrarre l’immigrazione alla pressione dell’opinione pubblica. Chi è contrario, si opponga finché il proprio voto ancora vale.


Carlo Sacino è un analista politico indipendente.