Lo scandalo che in Canada ha coinvolto il primo ministro progressista Justin Trudeau, accusato di razzismo per essersi dipinto la faccia di nero a una festa scolastica decenni fa, può suscitare considerazioni ironiche sulle derive paradossali del “politicamente corretto”, e su come il fanatismo giacobino in esso insito divori anche i suoi idoli. Ma la tempesta sorta intorno alla vituperata pratica del blackface mostra innanzitutto, eloquentemente, come il progressismo occidentale contemporaneo sia portatore di una concezione “tribale” dei diritti soggettivi, in realtà incompatibile con la tradizione liberaldemocratica.

L’abbandono dell’universalismo ebraico-cristiano in favore del relativismo culturale e biopolitico ha ridotto i diritti soggettivi a pura retorica: auto-rappresentazione di gruppi “protetti” in grado di imporre alle opinioni pubbliche una “narrazione” che li dipinge come perseguitati o discriminati. Le società “multiculturali” sono un mosaico di tali gruppi, eterogenei e divisi spesso da tutto ma coalizzati contro le uniche identità considerate sempre, a prescindere, colpevoli di razzismo: l'”uomo bianco” euro-occidentale e il maschio eterosessuale, condannati eternamente a chiedere perdono per i misfatti propri o dei propri antenati, e a risarcire le vittime di essi.

È questa la logica per cui, nostante la schiavitù degli afroamericani sia stata abolita da un secolo e mezzo e ogni forma di segregazione sia finita da quasi 60 anni, in Nordamerica colorarsi la faccia di nero per un gioco o per una rappresentazione teatrale può essere giudicato come un grave atto di razzismo nei confronti dei neri. È la stessa deriva ideologica in base alla quale si solleva scandalo se in un film di Hollywood un transgender è interpretato da una attrice “soltanto” donna. In base alla quale dalla serie a cartone animati “The Simpsons” viene cancellato il personaggio dell’indiano Apu, giudicato offensivo in quanto caricatura degli immigrati indiani negli States. In base alla quale negli Stati Uniti molti autori comici stanno gettando la spugna, perché ogni imitazione o uso di stereotipi può essere condannato come razzista.

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La nemesi abbattutasi sull’innocente blackface del super-liberal Trudeau – costretto come tanti altri “reprobi” ad un’umiliante autocritica in stile stalinista – indica la direzione verso cui si muovono ormai a grandi passi quelle che sono state le democrazie liberali: l’abdicazione del costituzionalismo occidentale fondato sui diritti naturali degli individui, in favore di società del tutto “balcanizzate”, dove comunità chiuse e rancorose si combattono tra loro sulla base di orizzonti valoriali reciprocamente incompatibili.


Eugenio Capozzi è professore ordinario di Storia contemporanea, consigliere scientifico del Centro Studi Machiavelli.

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Professore ordinario di Storia contemporanea all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. È Consigliere Scientifico del Centro Studi Machiavelli.
Fa parte del comitato scientifico della rivista accademica "Ventunesimo secolo. Rivista di studi sulle transizioni".