La cronica successione di governi, un clima di crisi sempre incombente: il primo a intuire i problemi che il compromesso costituzionale stipulato nel 1946-47 tra moderati e sinistre avrebbe generato fu Piero Calamandrei. Il giurista espresse come rara voce nell’Assemblea Costituente la posizione favorevole a un ordinamento presidenziale. Negli anni successivi fu Randolfo Pacciardi, partigiano autentico e non postumo, a rilanciare il presidenzialismo, peraltro in intesa con un brillante uomo di cultura che veniva dalla schiera dei vinti: Giano Accame.

Alla fine degli anni Settanta, quando il leader della destra nazionale Almirante fece suo il presidenzialismo, i fautori dell’idea parlamentarista ebbero gioco facile nel sottolineare come la proposta almirantiana di “Nuova Repubblica” fosse la prova provata della equiparazione tra presidenzialismo e neofascismo. Una obiezione pretestuosa se si considerano i placidi ordinamenti presidenziali di Stati Uniti, Francia e anche Svizzera. Craxi al culmine della sua parabola politica accarezzò l’idea di essere il fautore del nuovo ordinamento politico, come del nuovo concordato con la Chiesa di Wojtyla. Ma mentre la commissione riforme accumulava polverosi faldoni la grande riforma si incagliava in un binario morto.

Intanto però un inatteso presidenzialismo de facto si faceva largo. Il primo esponente di questa evoluzione pratica fu Pertini con le sue dichiarazioni di taglio pre-populista e anche con un suo fermo proposito: quello di interpretare il “massimo di cinque senatori a vita”, come numero massimo che “ogni” presidente poteva nominare. Cossiga pensò di approfittare della crisi di Tangentopoli per pilotare con le sue esternazioni una svolta gollista. Non ci riuscì, ma venne Scalfaro il primo inquilino quirinalizio capace di ingaggiare e vincere bracci di ferro con le maggioranze emerse dalle elezioni. Quello che poi avrebbero fatto Napolitano e Mattarella è cronaca.

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Alcuni critici quirinalizi mormorano che si sia realizzato di fatto una sorta di “presidenzialismo oligarchico” come contrappeso dall’alto alle pulsioni dell’elettorato. Giusta o sbagliata che sia questa osservazione, si potrebbe comunque riprendere in considerazione l’intuizione del padre costituente Calamandrei.


Alfonso Piscitelli scrive per varie testate, tra cui “La Verità”.