I global compact su migrazioni e rifugiati. Sono compatibili con le politiche del Governo italiano? è il nuovo Dossier del Machiavelli, realizzato da Carlo Sacino.

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SOMMARIO ESECUTIVO

  • Il 10-11 Dicembre 2018, i governi del mondo saranno chiamati a firmare il global compact per una migrazione “sicura, ordinata e regolare”, e quello per i rifugiati, che mirano, tramite un approccio multilaterale, a creare un mondo dai confini aperti.
  • Il global compact sulle migrazioni propone flussi continui, utilizzando motivazioni sia economiche sia demografiche; vuole inoltre creare obblighi crescenti in merito ai servizi da fornire agli immigrati, indipendentemente dal loro status giuridico, e impedire di perseguire penalmente chi fornisce assistenza indebita all’immigrazione.
  • USA, Australia, Ungheria e Austria hanno già dichiarato la propria non adesione al global compact sulle migrazioni.
  • Il global compact sui rifugiati si concentra sul rafforzamento della cooperazione internazionale, dei rimpatri volontari e sulla creazione di piattaforme di supporto temporanee per le emergenze.
  • L’obiettivo del Governo italiano di limitare l’immigrazione e ridurre gli oneri dell’accoglienza appaiono difficilmente compatibili con quanto prescritto dal global compact sulle migrazioni.
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    Introduzione

    Alla luce della crisi dei rifugiati del 2015, che ha portato circa un milione di persone in Germania, e della continua pressione di flussi misti (rifugiati e non) verso l’Italia, la Grecia e la Spagna, e dell’ansia degli elettorati del mondo occidentale riguardo al tema immigrazione, le Nazioni Unite e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni hanno aperto una discussione al fine di raggiungere soluzioni condivise per una migrazione che funzioni ”per tutti”. La premessa è che l’immigrazione sia una questione globale, e come tale non possa essere lasciata ad i singoli stati per limiti di capacità propria, ma necessiti di un approccio internazionale. L’obbiettivo di questo rapporto è di analizzare quanto proposto dalle organizzazioni sovranazionali e verificarne l’utilità dal punto di vista dell’interesse nazionale italiano. Nel primo capitolo verranno brevemente analizzate le politiche attuate dal governo Movimento 5 Stelle-Lega sul tema migratorio. Nel secondo, si analizzerà il global compact sulle migrazioni, nel terzo quello sui rifugiati. Nel quarto si analizzeranno le critiche di Stati Uniti, Australia, Austria ed Ungheria. Dopo aver valutato la congruenza degli obbiettivi, si suggerirà una presa di posizione del governo italiano riguardo ai documenti in questione.

    La politica migratoria del contratto di governo ”gialloverde”

    Allo scopo di valutare la compatibilità dei global compact sulle migrazioni e sui rifugiati con gli obbiettivi della politica migratoria del governo Lega-Movimento 5 Stelle, verranno comparati gli elementi del contratto di governo e delle politiche attuate nel 2018 con quelli dei documenti ONU.

    Riassumiamo di seguito i contenuti principali della sezione immigrazione, elencata al punto 13 come ”Immigrazione: rimpatri e stop al business”:
    – una riduzione della pressione dei flussi sulle frontiere esterne;
    – rinegoziazione delle missioni europee nel Mediterraneo allo scopo di ottenere una redistribuzione dei migranti tra paesi europei, a differenza dell’assetto attuale che vede l’Italia come unico porto d’approdo;
    – ricollocamento obbligatorio ed automatico dei richiedenti asilo;
    – allontanamento dei richiedenti asilo in caso di reati;
    – trasparenza nella gestione dei fondi pubblici per l’accoglienza;
    – valutazione di richieste d’asilo nei paesi d’origine;
    – prolungamento a 18 mesi massimi della detenzione dei migranti illegali al fine di rimpatrio;
    – registro per i luoghi di culto allo scopo di evitare infiltrazioni del terrorismo islamico.

    Più concretamente quanto attuato finora include la chiusura dei porti italiani alle organizzazioni non governative operanti nella zona di ricerca e salvataggio libica ed il pacchetto sicurezza noto come ”Decreto Salvini” con il seguente contenuto:

    – raddoppio (da tre a sei mesi) dei tempi di detenzione degli stranieri senza status legale;
    – aumento del numero di Centri per il Rimpatrio;
    – ampliamento del numero di reati che precludono lo status di rifugiato;
    – limitazione dell’accesso al sistema SPRAR, escludendo la protezione umanitaria;
    – limitazioni all’appello contro diniego di protezione;
    – rinuncia automatica allo stato di rifugiato in caso di viaggio nel paese d’origine;
    permesso di soggiorno per casi speciali (salute, seri motivi di carattere umanitario) della durata di 12 mesi;
    – DASPO e revoca della cittadinanza per legami con movimenti terroristi.

    Il global compact sulle migrazioni

    Il nome completo del documento è ”Global Compact For Safe, Orderly and Regular Migration”. La firma dovrebbe avvenire da parte di tutti i rappresentanti dei paesi ONU il 10-11 Dicembre 2018 in Marocco.

    Il global compact utilizza il tipico linguaggio burocratico delle cancellerie, zeppo di elenchi e concetti vagamente espressi. In molti casi propone semplicemente non meglio definiti elementi allo scopo di migliorare la cooperazione internazionale sul tema migratorio. La scarsa definizione rende tali obiettivi difficilmente obiettabili. Dal titolo tuttavia si può notare un approccio nettamente in contrasto con gli obbiettivi del governo italiano elencati nella precedente sezione. Se quest’ultimo infatti è orientato ad una riduzione dei flussi verso l’Europa, il global compact si propone di gestire una migrazione continua, senza mai affrontare questioni numeriche. Ad esempio, viene più volte citata senza entrare nel dettaglio la motivazione demografica in favore delle migrazioni: tuttavia dati i cambiamenti radicali che essa comporta, evidenziati dagli studi demografici, e l’impopolarità dell’immigrazione di rimpiazzo nei paesi dell’Europa Occidentale, il documento si guarda bene dal quantificare o discutere in alcun modo la questione. Si può ritenere in ogni caso che l’orientamento del global compact sia contrario a quello dell’attuale governo, che preferisce risposte autoctone alla questione del calo demografico.

    Nei paragrafi 7-9 l’immigrazione viene descritta come un fattore in grado di aumentare il benessere del Paese ospite: tra gli obbiettivi elencati si parla di una «migrazione che funzioni per tutti». La ricerca recente invece dimostra che, in caso il Paese ospite attraversi periodi di stagnazione prolungata e alta disoccupazione, gli effetti benefici dell’immigrazione dal punto di vista economico sono negati, risultando in maggiore inattività dei nativi e competizione al ribasso nella classe inferiore, con effetti deleteri sulla stabilità sociale. Curiosamente, pur promettendosi di soddisfare le esigenze «di tutti» sulla questione migratoria, in nessun punto del documento il global compact prende in considerazione le esigenze dei Paesi ospiti e le lamentele degli elettorati europei per quanto riguarda le questioni di sicurezza, lavoro, sostenibilità del welfare e coesione sociale.

    Al paragrafo 24-a si legge: «Assicurare che l’assistenza di natura umanitaria non sia considerata illegale». Il richiamo, nella sua generalità, è chiaro: le ONG che hanno operato nel Mediterraneo negli ultimi anni dovrebbero essere libere di operare, con la motivazione dell’assistenza umanitaria. In questo senso, il governo italiano si ritroverebbe nuovamente a perdere il controllo dei propri confini a favore di agenti esterni, operanti una politica migratoria dei ”confini aperti” contraria all’orientamento democraticamente espresso dagli elettori italiani. Allo stesso tempo, casi simili a quelli della Iuventa, la barca della ONG tedesca Jugend Rettet, il cui equipaggio è stato colto a cooperare con i trafficanti di esseri umani, con il conseguente sequestro della barca stessa, confermato dalla Corte di Cassazione, potrebbero vedere esiti radicalmente differento.

    Tra gli obbiettivi del documento si elenca inoltre una non meglio specificata estensione dei diritti a migranti indipendentemente dallo status di legalità dell’ingresso, inclusi servizi di base, e un limite alla custodia cautelare dei clandestini.

    Al paragrafo 32 si prefigura una istruzione dei minori sul tema migratorio mentre al paragrafo 33 si propone la promozione di una dibatto «basato sui fatti, libero e aperto, che condanni razzismo e xenofobia, la sensibilizzazione ed istruzione dei professionisti dei media ad una terminologia ed informazione etica» unite ad una cancellazione dei fondi pubblici a media che «sistematicamente promuovono intolleranza, razzismo, xenofobia» e campagne di informazione riguardo i contributi positivi dell’immigrazione regolare.

    Si può ritenere tale paragrafo contraddittorio ed ipocrita: la premessa di un dibatto libero, aperto e fondato sui fatti è immediatamente smentita dalla richiesta di una informazione che evidenzi solo i lati positivi dell’immigrazione. Allo stesso tempo, tale orientamento risulta nella censura totale di opinioni contrarie, fondandosi sulla premessa che qualsiasi argomento contrario all’immigrazione debba essere razzista e xenofobo. Tale approccio è confermato dalla richiesta di utilizzo di un linguaggio altamente politicizzato da parte dei media, che nei fatti si è tradotto nei tentativi di censurare la nazionalità dei criminali e nell’imposizione di termini quali ”migranti economici”, ”irregolari” o ”senza documenti” al posto di ”illegali” e ”clandestini”. L’orientamento del documento si prefigura quindi in accordo ai dettami del costruzionismo sociale postmoderno: secondo tale teoria, che affonda le sue radici nel neo-marxismo, non esistono verità assolute, ma solo interpretazioni; se si ritiene che vi sia un diritto a migrare, e che qualsiasi forma di migrazione sia valida, allora si può alterare la percezione della realtà sostituendo i termini incriminati con quelli appropriati. Si può ritenere tale orientamento politico, estremamente popolare nell’élite liberal-progresissta occidentale, una delle principali cause della perdita di credibilità dei partiti di centro-sinistra tra i ceti popolari occidentali.

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    Il global compact sui rifugiati

    Il documento sui rifugiati ha delle premesse in comune con quello sul tema più ampio delle migrazioni: la natura non vincolante dal punto di vista legale e la pretesa di pragmatismo senza orientamenti politici.

    Tra i suoi contenuti, oltre ai richiami al diritto internazionale, in particolare la Convenzione di Ginevra del 1951, vi sono una riduzione di pressione sui paesi ospiti, sotto richiesta del paese stesso; l’obbiettivo di aumentare l’auto-dipendenza dei rifugiati; l’estensione dei programmi che coinvolgano Paesi terzi; il ritorno nei Paesi d’origine a fine emergenza.

    Vi è particolare attenzione alla condivisione della responsabilità tramite programmi globali o regionali, che includono sostegno (non specificato) ai Paesi ospiti e piattaforme di supporto in caso di emergenze che eccedano la capacità del singolo Stato. Tali piattaforme dovrebbero avere il carattere di temporaneità.

    Altro elemento fortemente sostenuto è quello dei rimpatri volontari come soluzione preferibile, la ricollocazione allo scopo di ridurre l’onere sul singolo Paese e dei piani triennali che includano Paesi disponibili a partecipare.

    Infine si suggeriscono attività sportive e culturali che coinvolgano i minori dei Paesi ospiti per conoscere e comprendere le sofferenze dei rifugiati.

    Le critiche: USA, Ungheria, Australia, Austria

    Tutti e quattro i Paesi citati nel titolo del paragrafo hanno espresso posizioni critiche ed annunciato il proprio rifiuto a firmare il global compact sulle migrazioni, rimanendo invece in silenzio per quanto riguarda quello sui rifugiati, un dato che si potrebbe interpretare come tacito assenso. Altri paesi, a cominciare da Croazia e Repubblica Ceca, potrebbero presto aggiungersi al gruppo.

    Le ragioni citate dal Presidente Trump includono minacce alla sovranità nazionale dovute all’immigrazione incontrollata, il legame tra immigrazione illegale col finanziamento delle reti criminali internazionali e il traffico di droga, lo sfruttamento di individui vulnerabili e il danno economico ai lavoratori nativi. Infine, l’idea che le migrazioni non possano essere gestite da organismi sovranazionali senza alcun controllo democratico dei cittadini americani, concludendo che la soluzione alla questione migratoria si deve ricercare nell’aiuto per lo sviluppo dei Paesi poveri.

    La posizione australiana invece riserva elementi di critica per i dettami del global compact sulle migrazioni in cui si limita la detenzione dei migranti sia in quanto a tempistiche, sia a livello concettuale come soluzione di ultima istanza. L’opinione del governo australiano è che questa politica non sia in linea con gli insediamenti gestiti dal governo australiano in Papua Nuova Guinea come soluzione alla questione dei flussi misti provenienti dal continente asiatico tramite barconi. L’Australia condivide inoltre la posizione del presidente americano riguardante la cessione di sovranità sul tema migratorio ad organi burocratici non responsabili dal punto di vista democratico e non in linea con l’interesse nazionale.

    L’Ungheria ha accusato il documento di estremismo ideologico, volto ad incoraggiare l’immigrazione, invece che controllarla: le critiche ungheresi riguardano una descrizione unilateralmente positiva dei fenomeni migratori senza possibilità di replica, l’orientamento volto a fare del ”diritto a migrare” parte dei diritti umani, come emerso nelle discussioni, senza tenere conto della volontà dei cittadini dei Paesi ospiti di poter proteggere le proprie comunità, la fornitura di servizi ai migranti a titolo gratuito durante il processo di verifica dei documenti e trattamenti di favore verso i migranti stessi a livello bancario, discriminando negativamente i nativi.

    Il governo austriaco ha similmente argomentato che il documento mira a limitare la sovranità nazionale sul tema migratorio, oltre a non differenziare a sufficienza la differenza tra migranti legali e non, orientandosi invece verso la creazione di un ”diritto umano a migrare”.

    Conclusioni

    Il global compact sulle migrazioni si propone come un documento pragmatico e non politico, tuttavia vi sono svariati elementi che rispondono alle chiare preferenze di una ristretta cerchia di individui, identificabili come l’élite globalmente mobile di orientamento progressista, ed operante in organizzazioni internazionali e/o non-governative, al di fuori del controllo del processo elettorale e democratico. In questo senso, sebbene venga affermata la primazia degli Stati sovrani, si può identificare un tentativo di limitazione della sovranità nazionale sotto il punto di vista della gestione del fenomeno migratorio: lo stesso documento enuncia che «nessuno Stato può gestire l’immigrazione da solo». La critica dell’amministrazione Trump è fondata.

    Il carattere non-vincolante del documento ne riduce l’efficacia legale, senza tuttavia ridimensionarne l’effetto di linee guida e presa di posizione sulla questione migratoria dal punto di vista ”open borders”, confini aperti, ambiziosamente volto ad un approccio ”no borders”, un mondo dove i confini nazionali, e quindi le nazioni stesse, sono aboliti e le persone sono libere di circolare a proprio piacimento. Si può ritenere sotto questo punto di vista contrario all’orientamento sul tema migratorio del governo gialloverde, in primis in quanto quest’ultimo rifiuta l’utilizzo dell’elemento migratorio come compensazione demografica, ma anche per quanto riguarda la limitazione dell’immigrazione irregolare e l’impossibilità da parte delle ONG di gestire liberamente il trasporto dei migranti verso l’Europa. Il global compact in questo senso si schiera dalla parte delle ONG e dell’estensione dei diritti non essenziali dei migranti illegali, volgendosi verso la creazione di un ”diritto a migrare”. Potrebbe rivelarsi pericoloso e controproducente per l’Italia accettare ciecamente questo ordinamento.

    Le proposte riguardanti l’informazione sul tema migratorio negano il carattere di libera e aperta discussione che il documento stesso si propone, promuovendo invece un approccio che distorce la realtà secondo dettami politici, degno delle distopie orwelliane. In questo senso, applicazioni strette del documento potrebbero risultare in pesanti sanzioni verso chiunque, a partire da figure politiche e media, osi esprimere orientamenti politicamente scorretti, pur senza commettere alcun crimine effettivo.

    Ben diverso è il nostro giudizio sul global compact sui rifugiati. In questo caso riteniamo la promessa di pragmatismo rispettata. Sebbene il documento contenga molti concetti vagamente accennati e di difficile valutazione, l’orientamento descritto è in linea con le priorità del governo gialloverde ed utile alle necessità dell’Italia, sia dal punto di vista di riduzione degli oneri sul singolo Stato, sia da quello di programmi di cooperazione internazionale, sia infine di quello dei rimpatri.

    In questo senso le proposte del global compact sui rifugiati sono compatibili con il tentativo fallimentare di ricollocamento automatico dei richiedenti asilo verso i paesi europei, ma anche con un piano alternativo, proposto dagli studiosi di Oxford Collier e Betts, di rifugi-città economiche in Paesi terzi sicuri, vicini ai luoghi di crisi. Il piano prevederebbe una distribuzione delle competenze secondo il principio del vantaggio comparato. I paesi sviluppati del mondo provvederebbero all’onere economico per intero, mentre quelli in via di sviluppo all’onere fisico. In questo senso, i € 5 miliardi dedicati dall’Italia nel 2018 all’accoglienza sarebbero più che sufficienti a mantenere il 90% dei rifugiati che ora si trovano nei Paesi in via di sviluppo al costo di € 4,3 miliardi. Una condivisione di tali costi li ridurrebbe enormemente allo Stato italiano.

    Ulteriori importanti vantaggi includono viaggi più brevi e sicuri per i rifugiati stessi, incluso quello del ritorno, minori differenze culturali e una facilitazione dei ricongiungimenti familiari.

    La conclusione della nostra analisi è quindi che il governo italiano dovrebbe firmare il global compact sui rifugiati in quanto in linea con le proprie preferenze, ma unirsi ad USA, Australia, Austria e Ungheria nel rifiuto dell’orientamento espresso dal global compact sulle migrazioni.
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    Dossier 9 - I global compact su migrazioni e rifugiati
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    Analista politico.