Il taglio dei parlamentari, fortemente voluto dal M5S, è stato approvato definitivamente dal Parlamento. Si tratta di una misura apparentemente popolare nel Paese, dove diffuso è l’odio verso la classe politica giudicata inefficiente e corrotta; non a caso pressoché tutti i partiti l’hanno votata. Ma è una misura demagogica che, a fronte di un risparmio insignificante per il cittadino (calcolato intorno ai due euro l’anno), avrà effetti pesanti sulla forza della nostra democrazia.

Innanzi tutto il Parlamento italiano, con questa riforma grossolana (si taglia senza un criterio, essenzialmente scegliendo un numero a caso sufficiente a saziare la sete di vendetta dell’opinione pubblica anti-politica), diviene il meno rappresentativo in Europa: ogni deputato sarà espressione di 150.000 abitanti, ben più di Germania (120mila), Francia (115mila) o Gran Bretagna (100mila); i senatori addirittura rappresenteranno 300mila abitanti l’uno.

La rappresentatività non è un tecnicismo di poco conto: si traduce sia nella capacità dei gruppi minoritari di eleggere propri deputati, sia nella possibilità per ogni cittadino di raggiungere il suo rappresentante per esporgli i suoi problemi e magari farli rappresentare in Parlamento. In collegi troppo ampi, c’è il rischio che solo chi controlla pacchetti di voti o finanziamenti elettorali avrà accesso al parlamentare.

Un secondo fattore da tenere presente è che più si riducono i posti legati alla politica, tanto più questa diventerà elitaria. Vincere in grandi collegi elettorali sarà possibile solo a candidati dotati di ingenti ricchezze personali da investire (o a candidati che si legano a munifici finanziatori diventandone poi dipendenti). Inoltre, colla progressiva riduzione delle opportunità la politica sarà scelta solo da chi dispone di sicure basi economiche, poiché la persona comune, per non parlare del povero, saranno demotivati a investire in un impegno che non dà molte possibilità di successo. Sebbene qualcuno storcerà il naso all’idea della politica come mestiere, essa è servita in passato anche da ascensore sociale per individui talentuosi o comunque capaci di conquistare la fiducia e il consenso dei concittadini: uno scenario che diventerà sempre più raro.

In sostanza, la riforma voluta dal M5S spinge nella direzione di un Parlamento poco rappresentativo, composto solo da esponenti dell’establishment sociale, e meno capace di controllare ciò che succede nella cosa pubblica a tutto vantaggio degli apparati e dei cosiddetti “tecnici”. Non a caso, mentre il M5S taglia 300 parlamentari sta varando con Fico il concorso per 300 nuovi funzionari. Una curiosa coincidenza che dà l’impressione di una sostituzione di eletti con non eletti. Non solo ciò annullerà in un sol colpo quasi 1/6 dei risparmi provocati dal taglio dei parlamentari, ma conferma che lo sbocco dell’antipolitica grillina – come da presentazione di ministri in pectore prima del 4 marzo 2018 o da dichiarazioni di Beppe Grillo sui politici relegati al rango di sottosegretari – sia la tecnocrazia.

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Siamo dunque di fronte a una contro-riforma anti-popolare, che per ironia della sorta è stata votata proprio dal Parlamento più populista della storia repubblicana.


Daniele Scalea è Presidente del Centro Studi Machiavelli.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" e "Geopolitica del Medio Oriente" all'Università Cusano. Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi. Il suo ultimo libro (come curatore) è L'attualità del sovranismo. Tra pandemia e guerra.