Ong e trasparenza. Evoluzione normativa comparata e controversie è il nuovo Dossier del Machiavelli, realizzato dall’analista Carlo Sacino.

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SOMMARIO ESECUTIVO

• L’Italia ha negli ultimi anni avviato una riforma del Terzo Settore, allo scopo di garantire la trasparenza dei bilanci delle organizzazioni che ne fanno parte.
• Le attività nel Mediterraneo centrale di alcune associazioni operanti nell’assistenza all’immigrazione sono oggetto di controversia: talune Ong si sono imposte sulle politiche migratorie degli Stati sovrani e vi sono state discussioni circa la loro trasparenza finanziaria.
• Alcuni paesi, tra cui Israele ed Ungheria, anch’essi alle prese con simili questioni, hanno provveduto ad aggiornare la propria legislazione, utilizzando il Foreign Agent Registration Act americano come modello di riferimento. In particolare l’Ungheria ha varato una legislazione finalizzata a impedire l’assistenza all’immigrazione clandestina.
• La legislazione ungherese sta affrontando il vaglio della Commissione Europea, della CEDU e della Corte Costituzionale nazionale. Una volta modificata in tale processo potrebbe fungere da modello per l’Italia.

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[showhide type=”testo” more_text=”Mostra di più” less_text=”Mostra di meno”] 1. Introduzione
Il cosiddetto ”terzo settore”, l’universo delle organizzazioni non-profit, si è evoluto negli ultimi decenni fino a diventare una realtà consistente nella vita economica, politica e sociale del paese. Al 2017 il giro d’affari annuo è di oltre 60 miliardi di euro, corrispondenti a 680 mila addetti e 4.7 milioni di volontari. Le dimensioni assunte da questo segmento dell’economia hanno suscitato l’interesse del legislatore e tra gli argomenti di maggiore interesse per quest’ultimo vi è la trasparenza dei bilanci delle organizzazioni. In questo contesto legislativo si è inserita la controversia riguardante le attività di determinate organizzazioni non-profit a ridosso delle acque territoriali libiche, con le conseguenze politiche e finanziarie di queste attività. Il tema non è casuale. La stessa Corte dei Conti europea, valutando la trasparenza dei bilanci delle ONG finanziate dalla Commissione Europea, nel proprio rapporto pubblicato nel Dicembre 2018 ha lamentato una insufficienza nell’efficacia dei rendiconti delle attività delle ONG stesse, prevalentemente coinvolte nell’assistenza a migranti.
In seguito alla tragedia di Lampedusa, il 3 Ottobre 2013, il governo italiano guidato da Gianni Letta lanciò l’operazione ”Mare Nostrum”, utilizzando la Marina Militare italiana per operazioni di ricerca e soccorso, spingendosi fino ai limiti delle acque libiche. A fronte di costi crescenti e del sospetto che l’operazione fornisse da fattore di attrazione per flussi illegali e trafficanti di persone, l’operazione terminò nell’Ottobre 2014, sostituita dalla missione europea ”Triton” gestita da Frontex, a raggio d’azione più limitato. Il ”vuoto” nello spazio di mare tra le acque libiche e la missione Triton fu progressivamente colmato dall’arrivo di organizzazioni umanitarie disposte a compiere autonomamente quelle politiche che, secondo il loro punto di vista, i governi europei avrebbero dovuto adottare allo scopo di salvare vite.
L’attività di queste cosiddette ”ONG” divenne presto controversa. Nel rapporto Frontex del 2017 si suggeriva che la presenza di missioni di Search and Rescue di fatto influenzavano le modalità d’azione dei trafficanti nell’entroterra libico, i quali organizzavano i ”viaggi” in modo in modo da essere individuati dalla controparte umanitaria, che fungeva da involontario fattore d’atrazione (pull factor). Anche l’inviato delle Nazioni Unite Martin Kobler suggerì che le organizzazioni umanitarie di fatto operassero come fattore di attrazione per i flussi migratori e i trafficanti, una accusa che le ONG hanno sempre rifiutato.
Sul finire del 2016 e l’inizio del 2017 le attività delle ONG divennero parte del dibattito politico italiano a causa dei crescenti costi per l’accoglienza (da 460 milioni di euro nel 2013 a 4,5 miliardi nel 2017), del sempre crescente numero di richiedenti asilo che giungevano in Italia (nonostante i rifugiati veri e propri fossero circa il 20% del totale) e del fatto che tutte le barche delle ONG portassero i migranti recuperati esclusivamente in Italia (e non in altri Paesi europei o Paesi sicuri del Nordafrica). Di fatto si era venuta a creare una situazione di semi-anarchia in cui ONG gestivano la politica migratoria di uno Stato sovrano in maniera indipendente, facilitando le operazioni di trafficanti di persone in Libia, con il tacito assenso del Governo italiano che tramite il Ministero delle Infrastrutture gestiva tutti gli interventi di salvataggio in mare. Tra gli elementi di maggior dubbio per l’opinione pubblica italiana vi fu quello dei finanziamenti. Ci si chiese infatti come mai, accanto alle sigle più famose, vi fossero così tante organizzazioni di recente costituzione, ma con bilanci sufficienti da mantenere una mini-flotta permanente nel Mediterraneo, battendo spesso bandiere di paradisi fiscali.
Sotto pressione per la crescente ansia ed ostilità dell’opinione pubblica, il Governo italiano cercò di mettere ordine all’anarchia nel Mediterraneo: il Ministro dell’Interno Marco Minniti si adoperò per ricostituire la Guardia Costiera Libica e imporre un Codice di Comportamento alle organizzazioni umanitarie. Curiosamente, molte organizzazioni umanitarie reagirono ritenendo il Codice un ”affronto” alla propria onestà. Nel frattempo la magistratura italiana aveva iniziato ad indagare sulle attività delle organizzazioni. Al momento attuale tra navi delle ONG sono poste sotto sequestro dalle autorità italiane o spagnole e i membri d’alcune organizzazioni risultano sotto indagine. Sotto pressione delle inchieste della magistratura, molte organizzazioni si sono progressivamente ritirate dal Mediterraneo. Dal gennaio 2019 rimangono operative solo Sea Watch e Sea Eye.

2. La legislazione italiana sui finanziamenti ai non-profit
Occorre innanzitutto chiarire l’utilizzo dei termini: ciò che a livello internazionale è conosciuto come ”ONG” (organizzazione non governativa), in italiano è conosciuto a livello legislativo e più comunemente come ”ONLUS” (organizzazione non lucrativa di utilità sociale), mentre per organizzazioni non governative si intende spesso organizzazioni internazionali come l’ONU. La nostra attenzione si concentra esclusivamente sulle Onlus.
Le finalità sociali e le forme di finanziamento delle Onlus sono elencate nel decreto legislativo n.460 del 4.12.1997. Le finalità sociali includono: assistenza sociale o socio-sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela dell’interesse artistico, dell’ambiente e dei diritti civili ed infine ricerca scientifica. L’articolo 11 stabilisce la creazione di un’anagrafe presso il Ministero delle Finanze, a cui le organizzazioni devono registrarsi per ottenere lo status di ONLUS e le relative agevolazioni fiscali. L’articolo 25 obbliga le ONLUS a redigere un documento annuale di bilancio da cui risulti la situazione patrimoniale, economica e finanziaria, distinguendo le attività istituzionali da quelle direttamente connesse.
Allo scopo di aumentare la trasparenza dei bilanci delle organizzazioni non-profit, il legislatore ha di recente introdotto nuove normative. Con la legge n.124 del 4 Agosto 2017, all’articolo 1, dal comma 125 al 127 si stabilisce che entro il 28 Febbraio di ogni anno le Onlus e le fondazioni che intrattengono rapporti economici con le pubbliche amministrazioni debbano pubblicare sui propri siti web le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque vantaggi economici di qualsiasi genere di importo pari o superiore a 10.000 euro ricevuti dalle medesime amministrazioni pubbliche nell’anno precedente. L’obbligo di pubblicazione non sussiste solo nel caso in cui l’importo dei contributi pubblici ricevuti nella annualità precedente sia inferiore a 10.000 euro. La sanzione per l’inosservanza della norma è la restituzione delle somme ricevute. Questa prassi comincerà dall’anno 2019.
Si deve infine ritenere importante la differenziazione recentemente introdotta dal decreto ”Anticorruzione” 995 del 23 Novembre 2018. Le fondazioni vengono equiparate a partiti politici (art. 11-14) con tutti gli obblighi derivanti sia per quanto riguarda il finanziamento sia per quanto riguarda la trasparenza dei bilanci. Seguendo tale esempio, utilizziamo i partiti politici come termine di paragone per quanto riguarda finanziamenti e trasparenza.
Il finanziamento dei partiti è attualmente regolato dalla legge n. 47 del 26 Febbraio 2014. Le forme di finanziamento previste includono il 2 per mille dell’imposta sul reddito di contribuenti e le erogazioni liberali con una detrazione fino al 26% sull’imposta lorda per donazioni tra i 30 e i 30.000 euro. L’articolo 10, comma 7 specifica un tetto massimo di 100.000 euro per le donazioni in beni e/o denaro. Per quanto riguarda la trasparenza, inizialmente le donazioni inferiori ai 5.000 euro potevano essere tralasciate dalla documentazione contabile trasmessa alla Presidenza della Camera. Questa cifra è stata poi abbassata a 500 euro nel già citato decreto Anticorruzione del Novembre 2018. Ulteriori modifiche introdotte dal Decreto includono la necessità di rendicontare le somme entro un mese solare, includendo la lista dei soggetti donatori (che in precedenza potevano rimanere anonimi per motivi di privacy), e all’articolo 12 il divieto di ricevere contributi, prestazioni o altre forme di sostegno da governi, enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia.
È interessante notare che ad esempio in Francia e Spagna i finanziamenti ai partiti nazionali da parte di stranieri sono illegali in tutte le forme. In entrambi i Paesi inoltre rapporti sui bilanci dei partiti sono pubblicati su gazzette o giornali ufficiali e non vi sono cifre minime che consentano di escludere il nome del finanziatore dalla documentazione trasmessa alle istituzioni. Anche negli Stati Uniti non è prevista la possibilità da parte di stranieri di finanziare i partiti politici. Il Decreto Anticorruzione consente ancora la possibilità da parte di persone fisiche straniere di donare ai partiti italiani. Nonostante ciò si può parlare di una novità significativa per il sistema politico italiano.

3. La trasparenza in altri paesi. Casi studio: USA, Israele, Ungheria
La questione della trasparenza dei non-profit è tendenzialmente trattata in maniera superficiale in gran parte dei Paesi del blocco occidentale. La legislazione tende ad essere vecchia di svariati decenni, quando ancora il cosiddetto ”Terzo Settore” era di dimensioni ridotte ed internet non aveva l’impatto attuale sulla società. In questo senso, la scelta dei paesi che fungono da ”casi studio” in questo rapporto è dovuta all’innovatività delle relative leggi sull’argomento.
Stati Uniti d’America
Come in Italia e in gran parte del mondo occidentale, le erogazioni liberali a favore del settore non-profit garantiscono determinate agevolazioni fiscali secondo l’Internal Revenue Code 501c. Le ONLUS (chiamate NGO, Non-Governmental Organization nel mondo anglosassone) devono registrarsi in base alle proprie finalità. ONG che hanno finalità politiche sono le uniche ad avere limitati benefici fiscali rispetto alle altre; solo i contributi ottenuti tramite raccolte fondi e tesseramento sono esenti da tassazione sul reddito. Lo Stato americano per il resto si impegna a rispettare la libertà di associazione senza influenzare le organizzazioni e le loro missioni. Le ONG sono obbligate a rendere pubbliche le proprie finanze con cadenze regolari, risalendo fino ai 3 anni precedenti e includendo i nomi dei donatori secondo un modulo standardizzato.
Ben diverso è il trattamento per tutte le ONG che ricevono finanziamenti da stranieri. Anche in questo caso lo Stato americano si impegna a rispettare la libertà di associazione e non impone limiti quantitativi in termini di finanziamento (la sola eccezione riguarda i legami con il terrorismo internazionale). Le ONG finanziate da stranieri sono inoltre oggetto del FARA (Foreign Agent Registration Act) del 1938, Titolo 22, n. 611 e successive riforme, che richiede a tutte le organizzazioni agenti per conto di stranieri (principal, che possono essere governi, partiti politici, persone o qualsiasi tipo di organizzazione al di fuori degli Stati Uniti – eccetto cittadini americani) di rivelare informazioni riguardo al tipo di relazione con il soggetto in questione, attività, finanziamenti e spese. Sono previste determinate eccezioni per accademici, artisti e organizzazioni non politiche.
Il FARA è talvolta criticato come un limite alla libertà di associazione in quanto equipara le ONG a lobbisti di fatto per conto di soggetti stranieri. La critica viene regolarmente respinta notando che il lobbismo è perfettamente legale negli USA e non vi sono particolari limiti all’attività e al finanziamento dei suoi agenti. IL FARA si configura quindi più che altro come uno strumento di garanzia di trasparenza in un ambito delicato quale le relazioni internazionali. Una legge simile ma con potenziali effetti limitativi si ha invece in India: il Foreign Contribution (Regulation) Act, n. 42 del 2010. La legge indiana include la possibilità di «proibire l’accettazione e l’utilizzo di contribuzioni straniere per qualsiasi attività in contrasto con l’interesse nazionale».
Israele
Ispirao al precedentemente citato FARA è il ”Transparency Requirements for Parties Supported by Foreign State Entities Bill ”, approvato dalla Knesset l’11 Luglio 2016, che obbliga ONG riceventi il 50% o più dei propri finanziamenti da organizzazioni (governative o meno) straniere a rivelare i propri donatori in qualsiasi pubblicazione (sezione 5), incluso il sito internet (sez. 4), e in qualsiasi relazione con i media o con membri del parlamento israeliano, pena una sanzione pecuniaria. La legge si inserisce nella delicata situazione legata al conflitto israelo-palestinese: le 27 organizzazioni toccate da questa legge tendono a sostenere la causa palestinese e ad essere legate a movimenti di sinistra o estrema sinistra occidentali, cosa che causa irritazione nell’amministrazione israeliana e preoccupazione dal punto di vista della sicurezza nazionale.
Ungheria
La libertà di associazione e i relativi obblighi di registrazione sono regolati dall’atto CLXXV del 2011, che si occupa specificamente di ONG, organizzazioni civili e non-profit. Gli obblighi stabiliti sono sostanzialmente in linea con quelli dei Paesi occidentali, richiedendo alle organizzazioni rendiconti finanziari e patrimoniali annuali da presentare alle autorità competenti (il Portale di Informazione Civile). In aggiunta a queste norme standard, il governo ungherese nel 2017 ha di fatto importato le regole del FARA in Europa, con l’atto LXXVI del 15 Giugno dello stesso anno. Questa legge, chiamata appunto «sulla trasparenza delle organizzazioni sostenute dall’estero», si applica a tutte le associazioni che ricevano donazioni dall’estero superiori ad una cifra di € 23.500 all’anno (art.1), ad esclusione di quelle sportive e di quelle riguardanti determinate minoranze etniche. Tali organizzazioni devono registrarsi presso il governo ungherese come ”organizzazioni riceventi fondi stranieri” e sono obbligate a presentarsi come tali sulle pagine principali dei propri siti internet (art.2), pena un richiamo da parte delle autorità di competenza. In caso di mancata ottemperanza dopo il secondo richiamo, la autorità possono procedere con una sanzione pecuniaria (art. 3). Quest’ultima pratica è stata aspramente criticata come intimidatoria e volta a creare un senso di sfiducia verso la società civile15. Il Governo ungherese ha continuato imperterrito adottando i pacchetti T/332 e T/333, approvati il 20 Giugno 2018.
La prima parte, denominata ”Sulla responsabilità civile delle organizzazioni che sostengono l’immigrazione illegale”, riprende il concetto di registrazione come ”agente finanziato da stranieri” aggravato dal titolo di ”organizzazione a sostegno dell’immigrazione illegale” (Sez. 1), obbligando tali organizzazioni a notificare entro 3 giorni alle autorità di competenza finanziamenti esterni e qualsiasi forma di sponsorizzazione di cittadini di Paesi terzi che coinvolga l’ingresso illegale nel territorio ungherese, compresa la diffusione di materiali informativi. Obbliga inoltre a dichiarare benefici personali e patrimoniali derivanti dall’associazione per tutte le persone coinvolte con essa (sez. 3), a notificare alla Banca Nazionale d’Ungheria transazioni con organizzazioni terze (sez.4) ed infine consente alle autorità di dissolvere l’organizzazione in caso di ripetute violazioni della suddetta legge (sez. 5).
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La seconda parte riguarda ”l’obbligo di finanziamento sull’immigrazione”: le organizzazioni che ricevono benefici finanziari o patrimoniali dall’estero e sponsorizzano in qualsiasi forma l’ingresso illegale in territorio ungherese di cittadini stranieri (sez. 2) sono obbligate a finanziare le autorità poste a controllo dell’immigrazione, in ragione del 25% del beneficio finanziario o di proprietà ricevuto (sez. 4). Le organizzazioni stesse possono richiedere la restituzione di tale cifra dimostrando di non aver sponsorizzato ingressi illegali (sez. 5). Le somme raccolte sono devolute al servizio di protezione dei confini (sez.6).
La terza parte si occupa delle ”ordinanze restrittive riguardo all’immigrazione” e modifica il Codice Penale ungherese all’articolo 353/A. Autorizza il ministero di competenza a bandire fino a 8km dal confine ungherese le persone (straniere) ritenute pericolose per la sicurezza nazionale e l’interesse pubblico (sez.1), ad eccezione di coloro che godano di immunità istituzionale (sez. 2). Persone che aiutano l’ingresso o la permanenza illegali di stranieri sono ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale (sez. 3). Il bando può durare 6 mesi, ma non più del periodo di emergenza.
Il Consiglio d’Europa e l’OSCE hanno criticato la criminalizzazione della diffusione di materiali informativi in quanto limitativa della libertà di stampa, nonché la mancanza di eccezioni per cui l’assistenza possa essere considerata imperativo morale, o di clausole che permettano l’assistenza nella richiesta d’asilo per quanto riguarda i diritti del richiedente, o infine di una definizione riguardo il ”guadagno personale” derivante dalla partecipazione alle organizzazioni; ammettono tuttavia che la criminalizzazione dell’assistenza a immigrati irregolari è legittima e non viola alcun diritto umano. Il Parlamento Europeo ha condannato la legge con una risoluzione, ritenendola in contrasto con la libertà di associazione e chiedendo al Consiglio dei Ministri UE una valutazione. La Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione, ritenendo che la legge sia in contrasto con le direttive su asilo e accoglienza, oltre che con gli articoli 20 e 21 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, la direttiva sulla libertà di movimento e la Carta dei Diritti Fondamentali UE. Essa critica inoltre gli elementi di non ammissibilità dei richiedenti asilo previsti dalla legge. Infine alcune organizzazioni hanno fatto causa al governo ungherese presso la Corte Costituzionale ungherese e la Corte Europea dei Diritti Umani.
4. Conclusioni e raccomandazioni
Alla luce di quanto visto finora si può ritenere la legislazione italiana in materia di trasparenza delle ONG in fase di transizione verso i modelli più avanzati, evitando tuttavia elementi non particolarmente necessari che frustrano gli operatori di settore.
L’introduzione dell’obbligo di pubblicazione dei bilanci online è positivo, ma dovrebbe essere esteso a qualsiasi forma di finanziamento, mentre al momento è obbligatorio solo per quanto riguarda le donazioni di enti pubblici. Questa rappresenta una delle raccomandazioni principali del presente rapporto. Dal modello tedesco si può valutare di prendere in prestito l’idea di supervisione dei bilanci da parte delle amministrazioni regionali, onde evitare di appesantire eccessivamente l’amministrazione centrale ed allo scopo di coinvolgere le istituzioni più vicine alla questione.
L’adozione di forme equivalenti al FARA americano da parte di Israele e Ungheria, con l’aggiunta dell’obbligo per la ONLUS/ONG di presentarsi come ”organizzazione finanziata da stranieri” in qualsiasi comunicazione mediatica, non sembra al momento fondamentale per il contesto nazionale italiano. Un ”FARA italiano” avrebbe più senso se inserito come negli Stati Uniti in un contesto di regolazione del lobbismo. Anche sotto quest’aspetto il legislatore italiano ha di recente iniziato un processo di modernizzazione, creando un registro presso l’Ufficio di Presidenza della Camera che raccolga i nomi dei soggetti che svolgono professionalmente attività di relazione istituzionale nei confronti dei membri della Camera, unitamente a un rendiconto annuale degli obiettivi perseguiti e dei soggetti interessati. In un contesto simile sarebbe legittimo richiedere trasparenza riguardo ai rapporti istituzionali di organizzazioni finanziate da stranieri. Tale approccio è simile a quello adottato dalle istituzioni europee, che prevedono una registrazione volontaria per le attività di lobby, ma necessaria per l’accreditamento presso edifici pubblici europei.
Per quanto riguarda il pacchetto ”sicurezza e trasparenza” ungherese, si possono fare le seguenti osservazioni: -il legislatore ungherese ha chiaramente preso nota degli avvenimenti italiani ed agito di conseguenza; il pacchetto è piuttosto preciso ed aggiornato nei suoi elementi; -vi sono punti forse eccessivi che probabilmente verranno modificati in base alle critiche di Commissione Europea e Consiglio d’Europa; -vi è un’estensione di responsibilità nel favoreggiamento dell’immigrazione illegale alle organizzazioni (quindi persone giuridiche) e non solo alle persone fisiche; -non riteniamo probabile che l’intero pacchetto venga cancellato, in quanto la condanna da parte del Parlamento Europeo è di carattere politico e rappresenta una maggioranza a fine mandato.
Dato quanto successo nel Mediterraneo negli ultimi anni e descritto in precedenza, una responsabilizzazione delle organizzazioni dedite all’assistenza dell’immigrazione irregolare si può ritenere legittima, sia in base all’elevata percentuale di immigrati che non possiedono i requisiti per ricevere forme di protezione, sia in base al fatto che tali organizzazioni dopo aver adempiuto il proprio compito di trasporto sicuro scaricano sulla collettività i costi dell’accoglienza e dei rimpatri dei migranti stessi. Sotto questo punto di vista, la legislazione ungherese si presenta come particolarmente innovativa. Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in Italia è definito dalla legge n.189 del 30 Luglio 2002, art. 11 ed è diretto a punire persone fisiche. Un aggiornamento della legge potrebbe includere una responsabilizzazione dell’organizzazione (come persona giuridica) i cui membri commettano il reato in questione. In tal senso potrebbe essere consigliabile attendere l’evoluzione della diatriba giuridica sulla legge ungherese e agire in base al suo esito: si può ritenere probabile che i concetti di base rimarranno in vigore con alcune eccezioni negoziate con le istituzioni europee.
Infine, sempre alla luce di quanto è avvenuto, ed in maniera minore continua ad avvenire nel Mediterraneo centrale, si può pensare ad una ulteriore modifica del Testo Unico dell’immigrazione, in particolare gli articoli 10 e 12. Se si può infatti ritenere legittimo che l’assistenza di carattere puramente umanitario non consista per sé favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ben diverso è quando una organizzazione opera nella zona SAR di un altro paese, sotto direzione dell’autorità in carica alla zona in questione. Qualora, una volta terminata l’operazione di assistenza umanitaria, quindi superata la situazione di emergenza ed eccezione, l’organizzazione scelga autonomamente di non consegnare le persone raccolte all’autorità in carica della SAR e di ignorare la presenza di porti sicuri più vicini, scegliendo poi di spostarsi in acque territoriali italiane, allora si potrebbe configurare un caso di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. [/showhide]  

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